Io c’ero a Vergarolla
LA STRAGE DI VERGAROLLA
da “Italiano con la coda” di Remo Calcich, pag 73.
Frequentavo nell’estate del 1946 la spiaggia di Stoia. Nuotavo e raccoglievo lumache che conservavo in un recipiente con acqua di mare e che a casa, una volta bollite e sgusciate, mangiavo con avidità. Ma il 18 agosto, nella tarda mattinata ero a Vergarolla, spiaggia adiacente a Stoia. Erano in corso di svolgimento le gare natatorie della Coppa Scarioni, competizione di livello nazionale. I polesani presenti sia come partecipanti che come spettatori intendevano esprimere il loro legame con la madre patria, l’Italia. Mia zia Flavia mi aveva accompagnato. Era l’occasione per incontrare i nostri amici, che di solito frequentavano Vergarolla. Ero felice, ma verso mezzo giorno fui preso da un raptus, e colpii con dei calci negli stinchi mia zia per farmi riportare a Stoia. Dopo il ferimento nel bombardamento del 1944, due anni prima, avevo acquisito un iper-sensibilità al pericolo. Alle quattordici e 15 scoppiarono le mine. Ricorderò per sempre l’esplosione: un fragore infernale, un bagliore totale, vermiglio, una serie di boati intermittenti. Ci precipitammo sulla spiaggia di Vergarolla per prestare soccorso ai nostri amici. L’esplosione aveva colpito una spiaggia gremita di gente: centinaia di persone e barche strapiene di spettatori. Una strage. Quando intravidi i pezzi di cadavere scaraventati a centinaia di metri, frammenti di barche carbonizzati in mezzo ad un acqua melmosa per i detriti mi impedirono di proseguire. Fui affidato a un giovane sudato e sporco di sangue. Tra i morti il mio amico e coetaneo Renzo, figlio del chirurgo Micheletti che, nonostante la perdita dei due figli, aveva continuato ad operare per ventiquattro ore di fila. Tanti tra i morti e i feriti, i bambini che conoscevo, affascinati, come me, dallo spettacolo delle gare di nuoto. Il bilancio era stato di circa un centinaio di morti e altrettanti feriti. A settembre, nel mio primo giorno di scuola, all’entrata delle aule dell’ elementari, furono affisse le fotografie degli alunni che mancavano all’appello. Noi polesani ci rendemmo conto che eravamo una semplice pedina nel gioco sporco dei vincitori della guerra. Ci sentivamo braccati da un nemico sfuggente e implacabile in grado di colpire dovunque e comunque. L’Italia post-bellica era lontana e in preda ad una profonda crisi di identità. E noi eravamo in trappola.
LA PICCOLA MATA HARI
Su questi drammi collettivi si sovrapponevano le angosce famigliari e individuali. Il 29 aprile 1946, mia madre dopo aver trascorso due mesi a Zagabria nel tentativo di salvare dalla prigionia l’ufficiale italiano che diventerà alla fine degli anni quaranta il “mio patrigno”, era ritornata in Istria. I famigliari di Lawrence, mio padre biologico, animati da “bassi istinti di vendetta” consigliarono al figlio di fare una denuncia anonima all’OZNA(Servizio Segreto Jugoslavo) contro mia madre “per rapporti sospetti con un ufficiale italiano , lei che era slava. Spionaggio. Se provato mia madre rischiava la pena capitale: la morte Ai prim di maggio ricevette ad Orsera una prima visita di due agenti. Il 20 maggio fu perquisita la sua casa a Pola. I verbali di tali accertamenti probabilmente furono spediti alla sede centrale OZNA di Zagabria dove furono interrogati i parenti che l’avevano ospitata nei mesi di marzo ed aprile. Dopo ulteriori fermi ed interrogatori il 18 luglio 1946, fu arrestata definitivamente per gravi indizi a suo carico e rinchiusa nel carcere duro di Pisino. Lawrence per giustificare l’assenza di mia madre mi aveva informato che si era recata, come al solito, alla ricerca del suo amante italiano. Il 19 agosto, il giorno dopo la strage di Vergarolla, una secondina di buon cuore aveva informato mia madre dell’eccidio di Pola. Una strage che aveva colpito, fra l’altro numerosi bambini della mia età uccidendoli e mutilandoli. La carceriera sensibile al dolore di mia madre aveva cercato di mitigare la sua detenzione a Pisino. Vivrà con questa angoscia fino al 18 settembre quando sarà liberata e completamente scagionata. Da quel momento, per altri cinque mesi fino all’imbarco sul “Toscana” vivrà semi clandestinamente. Potrà contare su una catena di solidarietà: amiche che l’aiuteranno fornendole la biancheria dei soldati inglesi, da stirare. La sua preoccupazione sarà quella di preparare la fuga da Pola. Aveva solo 27 anni e avrebbe potuto rifarsi una vita.
I LIBERATORI
A partire dal 28 aprile 1945 i comandi tedesco ed italiano della piazzaforte di Pola per complessivi 5.200 uomini decisero la resa. Troppo tardi. Di fronte a loro 18 mila partigiani perfettamente armati. Alle spalle di questi soldati avanzava l’esercito alleato intenzionato a contendere a quello jugoslavo e, quindi, a quello russo, il controllo, tramite l’Istria e Trieste, Pola e Fiume, dei canali di rifornimento utili per le loro truppe impegnate in Germania e in Austria. Il partigiano era un esercito composto da contadini laceri, macilenti e pervasi da una esaltazione allucinata. Li vidi da un terrapieno del “’Arco dei Sergi” insieme alla “mularia”: gli scugnizzi del quartiere. Individuai in mezzo a loro uno zio materno, Pino, quindicenne: un vigoroso pastore-contadino spavaldo e sicuro con un enorme fucile. Suo fratello maggiore, Mattia, partigiano era stato catturato dai nazisti nell’offensiva dell’ottobre del 1943. L’adolescenza di Pino era stata condizionata dal timore di finire come i suoi giovani amici slavi eliminati dalla Decima Mas e dai nazisti e dalla speranza di crescere e di vendicarsi. Sotto i suoi occhi , mentre accudiva al gregge nella campagna di Cerlenca che apparteneva alla nostra famiglia, era stato ucciso in un imboscata, un anno prima, l’8 maggio 1944 Aldo Negri, giovane dirigente partigiano istro-veneto. Alla fine di aprile 1945 preso dall’euforia aveva deciso di partecipare all’assedio di Pola. Aveva recuperato la sua arma dal primo cadavere tedesco che aveva incontrato, nel bosco di Siana, alle porte di Pola. Mio zio avrà il tempo di sparare qualche fucilata prima della resa del nemico nazi-fascista. Dall’altra parte della barricata, il mio futuro patrigno ufficiale di marina italiana , cinquantaquattro anni , tentava di salvarsi e di raggiungere Trieste. Fu intercettato a ca. 20 km da Pola, a Valle, da una pattuglia partigiana. Fu trattato con umanità e rassicurato, come risulta dalle pagine del libro “Maria” dedicato a mia madre: “ State tranquillo, non cerchiamo Voi, cerchiamo quelli che hanno sparato su di noi e sulle nostre famiglie, che hanno fatto dei rastrellamenti e delle distruzioni: quelli delle brigate nere e della “Decima Mas”. I partigiani sapevano che il suo ruolo era stato quello di sovraintendere all’assistenza delle famiglie di militari italiani in difficoltà. Fu comunque avviato a una dura e spietata prigionia ma, ebbe salva la vita. Nelle campagne l’Istria anti-fascista applaudiva i partigiani, suoi eroi popolari, con la stella rossa sui capelli o sul petto per le donne e sul cappello per gli uomini. I polesani non mancarono di irridere a questa sfilata di poveracci che manifestavano la volontà di stabilire la loro legge. Ricordo che, immediatamente dopo la sfilata proletaria, mia nonna viennese per evitare il contagio e per punirmi di aver fraternizzato con la “marmaglia nauseabonda e pidocchiosa”, mi aveva catturato, rasato a zero ed irrorato profondamente e decisamente di “fliit”(petrolio). A Pola l’unico “s’chiavo” sconfitto ed umiliato , in quel momento, ero io. Mio nonno paterno irredentista in previsione dell’imminente slavizzazione di Pola procedette , incautamente, a catechizzarmi insegnandomi a cantare dietro le persiane, mentre si intravedeva in strada il passaggio di pattuglie “druze” (comuniste) canzoni anti slave in dialetto polesano. L’occupazione jugoslava di Pola fu mal sopportata fin dall’inizio. Le epurazioni dell’elemento filo- italiano , le intimidazioni e la pretesa da parte della dirigenza partigiana di gestire una società articolata servendosi delle masse slave, fu un trauma irreversibile per la popolazione istro-veneta.
ARRIVANO I NOSTRI
Gli anglo-americani non potevano dopo l’inarrestabile avanzata russa nel cuore dell’Europa rinunciare ai porti di Trieste , Pola e Fiume e convinsero gli jugoslavi a sgomberare da Trieste e Pola in attesa della firma del Trattato di Pace. Il 15 giugno 1945 i semidei calarono a Pola . Nel resto d’Italia liberata gli alleati erano stati accolti con entusiasmo perchè con la loro presenza avevano posto fine alla guerra . Gli italiani speravano con loro di lasciarsi alle spalle la miseria e i lutti della guerra. Pola e Trieste dopo l’esperienza negativa della prima occupazione jugoslava avevano accolto gli alleati come trionfatori e, sopratutto, come “libertadores”: color che davano libertà. Nell’autunno 1943 in Istria lo stato italiano si era disintegrato. Le forze partigiane dominate dalla dirigenza jugoslava furono spazzate via: quindicimila partigiani al 95% croati e sloveni furono eliminati dalla controffensiva tedesca. Trieste, la Venezia Giulia e l’Istria furono annesse al Reich come “Adriatische Kustenland”. Il ricordo di un Austria presente ancora vent’anni prima con la fama di ottima amministratrice e in grado di aver creato la floridezza economica mortificata, nel ventennio, dal governo di Roma, spinsero le popolazioni istro-venete ad accogliere le armate tedesche con un entusiasmo inspiegabile. La fascistizzazione istriana fu completata da seimila elementi della Decima Mas con una folta presenza di volontari provenienti dall’etnia istro-veneta. Questa struttura militare nazionalista agiva in perfetta autonomia, e affiancava e superava, in ferocia , i nazisti. Sempre dalla mia postazione, all’inizio della città vecchia, li vidi arrivare. Le mule polesane , che la canzone popolare definiva “ bocconcini fatte ( nate) per far l’amor” nei loro vestiti leggeri ed attillati per mettere in evidenza la loro procacità, sbucarono sulla piazza antistante, da ogni vicolo. Il loro obbiettivo era avvinghiarsi ai liberatori: giovanotti sorridenti, sbarbati e aitanti, ufficiali e soldati. Quest’offerta collettiva fu il “cadeau” che i polesani offrirono ai vincitori. Uscivo da una convalescenza penosa. Un dolore fisico acuto e permanente e visite interminabili negli ospedali e l’impossibilità di sentirmi normale e di giocare con i bambini della mia età, mi perseguitavano da mesi. Dieci mesi prima un bombardamento criminale e terrorista “a tappeto” inglese, mi aveva gravemente ferito. In quel inverno 1944-45, appena fui in grado di muovermi autonomamente, molto prima che le incursioni aerei alleate ci sorvolassero, mi nascondevo nel bosco intricato e, cercavo di scavarmi con le mani un rifugio dove nascondermi. In quel periodo quando il dolore si faceva più insopportabile passavo intere giornate a maledirli: “maledeti inghilesi”. Al loro arrivo mi fu istintivo osservarli con odio. Chi di loro aveva bombardato la mia casa ed ucciso altri cinquantasei essere umani e il mio amico, decenne, che mi teneva per mano? Non accettai mai da loro una carezza. Imparerò che questi assassini anglosassoni si sarebbero differenziati dai tedeschi soltanto per un piccolo particolare peggiorativo: la pretesa di essere amati.
LA GIBILTERRA ADRIATICA
L’enclave anglo-americana con comando inglese, succursale della T.L.T: (Territorio Libero di Trieste) di Pola era estesa per pochi chilometri quadrati. I polesani separati dal resto dell’ Istria si sentivano al sicuro, dei privilegiati. Pola godeva di una posizione strategica nell’ Adriatico in parte analoga a quella di Gibilterra. I più ottimisti tra i polesani pensavano che non sarebbe stato impossibile ottenere lo stesso “status giuridico”. Se la Gran Bretagna avesse continuato ad assumere nei confronti di Tito l’atteggiamento fermo mantenuto nel corso di tre secoli con la Spagna, saremmo diventati cittadini britannici come i liguri impiantati a Gibilterra. Il governo italiano ci considerava ormai perduti. La madre patria ci ignorava. Dopo questa iniziale illusione i polesani si resero conto di essere stati tagliati fuori dal mondo. Pola non era una città liberata ma, sottomessa ad una potenza che la utilizzava come altri suoi territori coloniali. Gli inglesi, a Pola, erano dovunque con le loro interminabili file di camion, invadevano i locali pubblici e le case private, troppo spesso in stato di ubriachezza e a “barattare sesso” con generi commestibili: caffè, zucchero, farina, ecc. che trafugavano dai loro immensi depositi. Nel frattempo le trattative per la definizione dei confini tra l’Italia e la Jugoslavia andavano avanti. Gli anglo- americani erano propensi inizialmente ad imporre un compromesso ai jugoslavi e ai russi: un confine che avrebbe conservato Pola all’Italia. Alla metà di maggio 1946 cadde anche questa illusione: l’intera Istria sarebbe stata ceduta alla Jugoslavia. I cittadini polesani in massa rigettarono le decisioni della conferenza di Parigi. Il 25 giugno venne proclamato lo sciopero generale. Il 3 luglio si costituì il “Comitato esodo di Pola”. Il 12 luglio iniziò la raccolta delle dichiarazioni di coloro che intendevano abbandonare la città in caso di sua cessione alla Jugoslavia. Il 28 luglio, ad operazione conclusa, risultò che il 90% dei cittadini polesani era a favore dell’Esodo.
RINASCITA FASCISTA
Se nella primavera del 1945 Washington, Londra e Mosca avevano congelato la definizione della “questione giuliana” le tensioni della guerra fredda la acceleleranno. Nella primavera del 1946 i vertici alleati si resero conto di non essere in grado di rispondere efficacemente ad un eventuale attacco militare jugoslavo. Lo avevo stabilito il generale statunitense William Morgan comandante supremo nel Mediterraneo. Nella Venezia Giulia la tensione tra italiani e jugoslavi e la rinata aggressività fascista italiana rendevano acuta la gestione del territorio. A Trieste, il 20 giugno, tre bombe a mano colpirono il circolo U.A.I.S. (comunista) di via San Vito. Il 10 luglio una squadra neofascista attaccò i membri di una organizzazione comunista. Come risulta dai documenti desecretati a Londra, il 25 giugno, la sezione triestina dell’Associazione nazionale paracadutisti aveva accolto tra le sue fila un numero considerevole di ex militi della Decima Mas, risorta. Il 25 luglio all’esterno della sinagoga di Trieste erano state collocate due bombe a mano. Il 26 luglio erano state lanciate bombe a mano contro una tipografia comunista. Il 30 luglio i documenti inglesi segnalarano di attività paramilitari di gruppi anti comunisti coordinati dall’associazione Osoppo. La serie di attentati fascisti continuarono ancora il 9 agosto, alla vigilia della strage di Vergarolla. A circa un mese prima dell’eccidio, il 6 luglio 1946, come risulta dai documenti desecretati di Kew Gardens i servizi segreti inglesi indicarono ai loro uffici collegati i più pericolosi agenti dell’O.Z.N.A (Servizi segreti jugoslavi) a Trieste. Vengono cosi segnalati una certa Amelia Kovacich sorella di Kovacich Giuseppe, noto assassino ed ex sottufficiale della marina militare italiana e il marito della Kovacich , Bernardini da Imperia, già ufficiale della marina militare repubblicana italiana. Personaggi che compariranno nella strage di Vergarolla. In questi atti è evidente la gestione da parte del controspionaggio inglese nei territori occupati di “una strategia della tensione”. Non si spiegherebbe la tolleranza dell’amministrazione alleata di Trieste dal 1945 al 1953 nei confronti di gruppi consistenti paramilitari neofascisti che potevano operare indisturbati, nè la manipolazione del Kovacich che si muoveva indisturbato tra la città di Fiume e Trieste con le credenziali inglesi. Per spiegare la rigidezza dei controlli ,al confine della TLT è da tener presente la vicenda di Palmiro Togliatti in transito dall’Italia per la Jugoslavia. Quando si presentò al posto di blocco inglese privo dei documenti formali richiesti dall’autorità alleata fu immediatamente arrestato e, soltanto successivamente fu rilasciato . Se si considera che le notizie fornite da parte dei servizi segreti italiani agli inglesi provenivano dall’esterno,a Trieste, da parte del S.I.M. (Servizio militare italiano e dal “battaglione 808” che dipendevano dal O.S.S. americano che aveva riciclato Junio Borghese e gli uomini della Decima Mas nucleo fondamentale del Sifar e dell’associazione “Gladio”, il quadro diventa torbido.
LA STRAGE
A ridosso della spiaggia di Vergarolla giaceva una trentina di mine di profondità. Gli artificieri del Comando Marina di Venezia su richiesta dell’amministrazione militare inglese di Pola le avevano disinescate sotto stretto controllo inglese nell’estate del 1945. Il capitano Raiola affermò che era materialmente impossibile che si verificasse l’esplosione delle mine, spontaneamente, perchè il tritolo contenuto sarebbe esploso solo con l’innesco di un detonatore specifico delle mine di profondità, non di uno qualsiasi. L’autorità inglese aveva avuto tutto il tempo per rimuovere questi ordigni dal giugno 1945 all’agosto del 1946. Non soltanto. Permetteva che venissero utilizzate come se fossero parte di un parco giochi. Il professor Giuseppe Nider accorso subito dopo l’esplosione insieme ad un maggiore inglese del “Field security service”, servizi di sicurezza e controspionaggio inglese, verificò che oltre la pineta esistevano tracce di un apparecchiatura in grado di comandare a distanza lo scoppio.
LO SDEGNO DI POLA
Immediatamente dopo la strage l’opinione pubblica polesana aveva intuito il coinvolgimento inglese nella strage. Dall’ Arena di Pola, giornale simbolo della città, del 19 agosto 1946 “ Ai capi responsabili ( inglesi) la città grida: basta ! Il consiglio comunale “Inoltra una vibrante e indignata protesta al Comando Supremo Alleato nel Mediterraneo, all’ ammiraglio Stone a Roma, al comando del tredicesimo Corpo al quale appartengono le truppe di stanza a Pola…… invitando le autorità del governo militare alleato a “stabilire le responsabilità di questa ultima e più grave sventura onde i colpevoli non si sottraggano alla giusta espiazione”. Il vescovo di Pola nell’omelia per i defunti “Scongiuro le autorità alleate che non permettano mai più che si ripetano simili stragi”. Stabilendo che l’eccidio si era compiuto soltanto perchè gli alleati lo avevano permesso. Il governo italiano rimase inerte. In termini di diritto internazionale l’amministrazione alleata a Pola aveva ricevuto dal Consiglio di Sicurezza dell’ O.N.U. un “mandato fiduciario internazionale di governo”. Tale “status” in base alla giurisprudenza consolidata dell’O.N.U. implica l’obbligo da parte dell’autorità mandataria di salvaguardare i diritti civili e la sicurezza collettiva del territorio amministrato.
PISTA JUGOSLAVA
Per decenni la pista jugoslava che portava alla strage fu l’unica battuta commettendo un errore storico che ha, in parte, compromesso la ricerca della verità. Con questo non voglio sostenere che gli Jugoslavi non ne fossero capaci. A più riprese, durante il periodo bellico e post-bellico, avevano dimostrato di essere privi di sensibilità etica. Coloro che l’hanno sostenuta partivano dal principio che Vergarolla fosse un passaggio obbligato per l’operazione di pulizia etnica dell’elemento istro-veneto: l’etnia italiana, in blocco, andava cacciata per impedire il prevedibile suo revanscismo. Una tesi mai dimostrata storicamente e contradetta dalla presenza attuale di una minoranza italiana in Istria che, comunque, fu intimidita e costretta a “rieducarsi”. Inoltre sarebbe stato più facile per i cosidetti “tittini”procedere a una strage sul territorio istriano da loro controllato, a Rovigno o a Dignano in occasione di qualche celebrazione popolare. Del resto Churchill aveva rilevato, ufficialmente, con una lettera inviata a Stalin a proposito della crisi di Trieste “Great cruelties have been inflicted by the Jugoslaves on the Italians in this part of the world” (Enormi crudeltà sono state inflitte dai jugoslavi nei confronti degli iitaliani, in questo territorio). In una fase delicata delle trattative in ordine alla definizione dei confini alla Conferenza di Parigi, percorrere la strada delle stragi indiscriminate da parte del governo jugoslavo sarebbe stato una strategia suicida. Sarebbe venuta meno la sua pretesa di annettere Trieste. Marta Verginella, docente di Storia del dicianovesimo secolo e Teoria della Storia all’università di Lubiana, durante le sue ricerche ha parlato con diversi ex agenti dell’OZNA e tutti gli hanno confermato di aver ricevuto l’ordine di fare pressione su singoli individui o singole famiglie di italiani contrarie al regime perchè se ne andassero ma, non hanno parlato di strategie dinamitarde indiscriminate.
LA PISTA ITALIANA
Non va dimenticata la pista italiana. Alla luce della strategia della tensione che ha percorso la storia italiana negli ultimi decenni si potrebbe ipotizzare che Vergarolla sia stata il primo atto del connubio tra i servizi segreti italiani colonizzati da Washington e la destra italiana stragista. La finalità sarebbe stata quella di convincere l’opinione pubblica occidentale che centinaia di migliaia di italiani erano a rischio nell’area giuliana ed impedire l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia. Dopo Vergarolla, Portella della Ginestra dove il bandito Giuliano utilizzò le lancia-granate in dotazione della Decima Mas di Junio Valerio Borgese, cooptata dai servizi segreti statunitensi preoccupati dall’avanzata social-comunista in Italia, sulla base dell’ipotesi formulate dagli storici Giuseppe Casarrubea e Nicola Tranfaglia, sarebbe stata il secondo atto. I “rapporti desecretati dell’OSS provano l’esistenza di un patto scellerato in Sicilia tra la cosidetta “Banda Giuliano” ed elementi già nel fascismo di Salò. (In primis la Decima Mas di Junio Valerio Borghese)”. Da Edscuola, Dossier a cura del prof. Giuseppe Casarrubea.
GLI ARCHIVI INGLESI
Nel marzo 2008 , con un colpo di scena, gli archivi inglesi rivelano: la strage di Vergarolla fu voluta dagli agenti di Tito. Questa verità è contenuta nelle carte dei “National Archives” di Kew Gardens. In particolare, il documento datato 19 dicembre 1946 classificato come “Sabotage in Pola” è un informativa del SIM post bellico creato dalla OSS statunitense comandata dal colonello James Jesus Angleton. Nel documento si segnala che uno dei sabotatori è Giuseppe Kovacich agente dell’OSNA ed ex sottufficiale della marina italiana. Finalmente. Noi polesani e tutti coloro che avevano subito l’esilio anche se a distanza di tanti anni, troppi anni, avevamo ricevuto un risarcimento morale! Forte di una credibilità usurpata Londra aveva per l’ennesima volta mentito. Non si assumeva il merito delle individuazioni di queste spie. Lo attribuiva al SIM italiano (statunitense) che operava al di fuori di Trieste e dimostrava di essere più informato di un potere, quello inglese, radicato nel territorio della T.L.T.. Giuseppe Kovacich come ben si ricorda era stato segnalato sempre dai documenti desecretati il 6 luglio 1946, 45 giorni prima della strage insieme alla sorella Amelia Kovacich e al cognato Bernardini di Imperia già ufficiale della marina italiana con tanto di recapito a Trieste e a Fiume. Era segnalata anche la macchina del Kovacich targata Susak che faceva la spola due-tre volte alla settimana tra Fiume e Trieste. In quel periodo , nel territorio, le macchine private si contavano sulle dita di una mano. Kovacich era, quindi, un notabile dotato di un particolare lascia-passare che gli permetteva di tramare a Trieste e poi a Pola. Cosi nel dicembre 1946, dopo la strage e quattro mesi di ricerche simulate da parte degli inglesi, i servizi segreti italiani completamente assenti dai territori di Trieste e Pola segnalarono (senza fantasia) di nuovo il fantomatico “Kovacich”. Il governo inglese per chi non ha una memoria corta aveva dimostrato di essere profondamente colluso con quello jugoslavo. Un anno prima alla fine di maggio del 1945 in Carinzia (Austria) aveva consegnato alle formazioni partigiane jugoslave ,migliaia di oppositori fascisti che si erano rifugiati nel territorio controllato dagli inglesi. Probabilmente i consegnati erano dei criminali ma, avevano diritto a un processo individuale e regolare. Gli inglesi rifiutarono questo elementare principio etico.
OCCUPAZIONE INGLESE
Il comportamento inglese è stato contradistinto nei secoli da un cinismo ed una ferocia molto lontani dalla generale convinzione di uno stato e un popolo basati sul rispetto delle altre realtà nazionali. Per chiarire storicamente le loro responsabilità va ricordato in questo ultimo secolo il genocidio dei Boeri giustificato dal ritrovamento in Sud Africa da parte di gruppi finanziari inglesi dei diamanti e dell’oro. Secondo Bernard Lugarn professore di Storia dell’Africa all’università di Lione “Alla fine dell’anno 1901 la popolazione boera della repubblica del Nuovo Orange era di circa 250.000 individui. Di questi 118.000 donne e bambini (gli uomini combattevano) insieme a 43.000 neri che erano rimasti loro fedeli, furono internati. Il tasso di mortalità raggiunse presso i Boeri proporzioni spaventose: il 35% degli adulti. Nel solo campo di Kroonstad la mortalità infantile toccò l’87,8 %. Sono cifre superiori a quelle dei campi di concentramento nazisti “. Una persecuzione plurisecolare e lo sfruttamento coloniale inglese dell’Irlanda avevano provocato tra il 1845 e il 1848 una carestia biblica e la riduzione del 30% della popolazione irlandese. Tra il 1919 e il 1921 il governo inglese per impedire l’indipendenza irlandese si era macchiato di crimini di guerra che suscitarono orrore in tutto il mondo civile quando il popolo irlandese chiese l’indipendenza. In sede di trattative di pace il governo inglese impedì il totale affrancamente irlandese creando il problema dell’Ulster, non ancora risolto. Il 30 gennaio 1971 il governo inglese, a Belfast, non esitò a sparare su una marcia pacifica cattolica: 14 morti e centinaia di feriti, inizio di una lunga e cruenta guerra civile, al momento congelata. Nel dopoguerra, nel novembre 1947, gli inglesi impedirono lo sbarco “dall’Exodus”, piroscafo postale, partito da Livorno , in Palestina di 4.515 ebrei scampati dai campi di concentramento. Il vecchio residuato che li trasportava fu speronato dalle cacciatorpediniere inglesi provocando vittime a bordo e il rischio di un affondamento che avrebbe provocato migliaia di vittime. Dopo un lungo giro nel Mediterraneo questi disgraziati furono sbarcati in Germania, ad Amburgo e sistemati in un ex lager nazista. Nell’ agosto 1944 Churchill aveva imposto a Stalin la formalizzazione della divisione dell’Europa, in aree di influenza. Si riservò la totale influenza inglese sulla Grecia liberata dai nazi-fascisti. L’8 dicembre 1944 ad Atene le truppe britanniche spararono su una marcia pacifica di protesta con decine di morti e centinaia di feriti. L’operazione era stata studiata a tavolino da Churchill per provocare una guerra civile devastante e schiacciare il movimento comunista greco. Il conflitto si prolungò fino al 1949. Nel febbraio 1947 (vedi la coincidenza con la partenza inglese da Pola) il governo britannico annunciò che a causa della sua grave situazione finanziaria non era più in grado di sostenere l’esercito monarchico greco. Niente paura. Ai britannici subentrarono gli statunitensi. I comunisti greci furono definitivamente sconfitti e posti fuori legge. Alla luce di questi eventi si potrebbero intuire le ragioni del comportamento inglese a Pola. Il governo britannico incapace di sostenere le spese dell’occupazione militare avrà trovato il modo per uscire di scena creando il “caos” e indicando nella matrice jugoslava la chiave per individuare le responsabilità dell’eccidio. Questo spiega anche la negligenza nel condurre le indagini. “In Trieste e il confine orientale tra guerra e dopo guerra “ di Fabio Amodeo e Mario Jotta Cereghino pag. 89” “Il G.M.A. (governo militare alleato ) fa il suo lavoro. Ma si capisce che vorrebbe durare il meno possibile, sia perchè il “caso Trieste” tiene impegnati migliaia di soldati e funzionari anglo-americani, sia perchè il T.L.T. Rappresenta un colossale esborso di denaro per Londra e Washington”
IL BORDELLO DIFFUSO
Raul Pupo ottimo analista della questione giuliana nel “ Lungo Esodo” spiega “la decisione fu quella di partire (da parte dei polesani), ma i meccanismi che la produssero sono ancora, in parte, da indagare. Per farlo le sole categorie della storia politica sono probabilmente insufficienti, perchè vanno integrate da una molteplicità di altri fattori, anche di natura psicologica , che pesarono in quel piccolo mondo chiuso ed assediato che era la città istriana tra il 1945 il 1947”. L’occupazione inglese e lo “status” di degrado della popolazione polesana furono la miscela che , aggiunta alla strage di Vergarolla provocheranno l’esodo disperato di trentamila polesani, costretti a sopravivere per quasi due anni in uno spazio ristretto, da stato di assedio, sottomessi ed inerti . Un costo della vita che saliva costantemente a livelli inverosimili. Pola, per loro era esclusivamente un “mercato di sesso”. Ritengo che, per pudore, la letteratura polesana non abbia considerato questo turpe scambio. In base al reso conto economico della zona A del T.L.T. Inviato a New York al Consiglio di Sicurezza al capitolo salute pubblica informa che a Trieste oltre ai bordelli “le prostitute note alle autorità sono ben 946. E se consideriamo che molte possono essere sfuggite al censimento del G.M.A. siamo di fronte ad un piccolo esercito”. Pola non potrà godere nel periodo ’45-’47 dei vantaggi che Trieste a partire dal 1951 potrà usufruire: il sostegno del piano Marshall e dell’assistenza finanziaria del governo italiano. I polesani si sfameranno con gli avanzi di cucina: pezzi di pollo, burro rancido, pezzi di cioccolata, patate marce presenti nella cava della Fabbrica Cementi nel rione Baracche, alla periferia di Pola. Una popolazione civile che subiva il degrado nel depredare le discariche. Le famiglie, con un residuo di dignità incaricavano gli adolescenti ad individuare e a raccogliere le parti commestibili. Lo scrittore Curzio Malaparte nella “Pelle” ed Eduardo di Filippo in “ Napoli milionaria” hanno descritto il degrado subito dai napoletani durante l’amministrazione militare alleata. A Pola donne sole , vedove, orfane e tutte coloro che volevano sopravivere si prostituivano o venivano costrette a prostituirsi. Noi bambini, molto spesso, venivamo utilizzati come “ruffiani” Tutta la famiglia era coinvolta. In “Italiano con la coda” descrivo come fosse ancora florida, negli anni cinquanta , la prostituzione famigliare in un paese pugliese , risultato dell’occupazione militare anglo-americana. Di fronte all’inedia e al degrado inconfessabile che intossicava e divorava l’anima collettiva l’andar via, l’andar verso occidente era l’unica prospettiva per risorgere per ricostruire la propria vita. Un moto profondo che soltanto coloro che sono stati investiti da questa bufera, possono percepire. Questo anelito, una volta in Italia, andò in molti casi deluso. Nei campi profughi sopratutto in quelli di Capua ed Aversa trasformati in lager, dopo il 1950 e fino ai primi anni degli anni sessanta la prostituzione polesana , vista la concorrenza esercitata dalle ungheresi fuggite in occasione dei moti del 1956 e, in attesa della libertà capitalista, internate, si erano spostata a Napoli. La scrittrice Nelida Milani rimasta a Pola racconta in “Bora” le prime visite di parenti (triestini) da Trieste: zia Riccarda e suo figlio Marino. La zia era sconvolta dalla prospettiva che il figlio , a Trieste, sposasse una profuga: “Ah , povera me! Sposa una puttana, una figlia di esuli di Umago, tutte queste esuli sono puttane”. Una giovane polesana aveva appena “fatto sesso” con un soldato inglese incontrò una sua conoscente anziana che chiese alla giovane: “Come te fa ad andar con lori”. Al che “Cara la mia santola xe mejio gaverli sulla pansa che sora la testa” alludendo ai bombardamenti inglesi e al corrispettivo che aveva con sè: caffè e sigarette.
LA CARLOTTA CORDAY POLESANA
Il 13 luglio 1793 Carlotta Corday, francese, pugnalò Marat mentre era nel bagno. Condannata dal tribunale rivoluzionario fu ghigliottinata quattro giorni dopo , all’età di 25 anni. Aveva vendicato i girondini: una corrente dei rivoluzionari francesi perseguitati dai radicali giacobini di Marat. A giustificazione del suo folle gesto invocherà la Patria “O mia Patria! Le tue disgrazie mi spezzano il cuore non posso offrirti che la mia vita!”. Il 10 febbraio 1947 Maria Pasquinelli, trentaquattrenne, uccise il comandante inglese della guarnigione di Pola Robert de Winton. Fu condannata a morte dal tribunale militare alleato. La condanna fu commutata in ergastolo. Successivamente dopo diciotto anni ottenne la grazia da parte del presidente della repubblica e nel 1965 fu liberata. La giustificazione del delitto fu il proposito, uccidendo il generale, di colpire “I Quattro Grandi i quali , alla conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia , di umanità e di saggezza politica hanno deciso di strappare dal grembo materno le terre più sacre all’Italia”. Secondo alcune versioni sarebbe stata coinvolta, nell’estate 1946, dagli ambienti stragisti italiani che avrebbero realizzato l’eccidio di Vergarolla. Nutro nei confronti di questa povera sciagurata una grande pietà. In Libia come crocerossina si era dedicata ai feriti e agli invalidi. A Spalato aveva, fra l’altro, compiuto atti di grande “pietas” ricercando di scomparsi e ricomponendo salme. A Pola nel 1946 aveva lavorato per il Comitato per l’esodo. Si sarà resa conto del degrado delle famiglie e donne polesane. Nel suo gesto di estremo e allucinato coraggio avrà certamente pesato lo sdegno nei confronti dell’amministrazione militare inglese e della sciagurata gestione della nostra collettività.
CONCLUSIONE
A questo punto non rimane a noi sopravissuti che chiedere al governo italiano di intervenire sul governo britannico per conoscere finalmente l’esatta dinamica dei fatti che hanno portato all’eccidio di Vergarolla. Se le autorità inglesi dovessero tacere il secondo interlocutore sarà il Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U.. Londra era tenuta a rendere conto al Consiglio di Sicurezza dell’O.N.U. come risulta dal documento desegretato ai Kew Gardens, del 30 settembre 1952 che contiene un resoconto economico annuale (dal 1° gennaio al 31 dicembre 1951) stilato e controfirmato dalle due potenze alleate di occupazione. Era questa la prassi dalla costituzione del T.L.T.. Si evince, in conclusione, che la strage di Vergarolla, in tempo di pace e, per questo in grado di scuotere l’opinione pubblica occidentale in un territorio gestito dal G.M.A. avrà obbligato le forze alleate ad indagare con meticolosità e a trasmettere al consiglio di sicurezza un documento formale esauriente e particolareggiato in grado di soddisfare il consiglio.
Remo Calcich
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