INCENDIO DEI NARODNI DOM e NEOFASCISMO
“Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia è l’etnia che deve muoversi”
Cosi diventò imperativo per Mussolini e il regime fascista espellere l’elemento slavo, iniziando dalle classi dirigenti, con particolare riguardo al personale didattico e al clero, slavi.
Tutto questo fu preliminare al tentativo di procedere, in termini brevi, all’assimilazione delle masse slave. (Requiem per il popolo istriano)
Gli incendi dei Narodni dom che simboleggiavano la cultura e il dinamismo delle comunità slave nel litorale (austriaco) costituirono il primo passo.
TERRORISMO FASCISTA
“Prima del primo conflitto mondiale nel territorio c’erano più di 500 chiese nelle quali i sacerdoti potavano liberamente predicare la dottrina cristiana in lingua croata o slovena. L’Istria aveva avuto più di duecento scuole popolari, croate e slovene, nelle quali insegnavano oltre duecento maestri, un ginnasio croato a Pisino, un ginnasio classico comunale ad Abbazia, la scuola magistrale maschile a Castua e una femminile a Pisino, tre tipografie croate e quattro slovene, un giornale quotidiano sloveno; più di 400 cooperative croate e slovene con oltre 100 mila soci. Erano state un importante base economica di forza popolare; 21 deputati alla Dieta istriana e 3 al Parlamento di Vienna.
Nella Venezia-Giulia funzionavano ca. 500 associazioni sportive, culturali e giovanili facenti capo alle rispettive Leghe.
Gli abitanti portavano i loro nomi e cognomi nazionali croati, quelli che loro padri e nonni si erano tramandati per secoli, ed avevano denominazioni croate per ogni campagna, strade, sentiero, colle, monte e fiume, per ogni paese borgo e città.
Avevano antichi documenti e monumenti glagolitici, una propria letteratura coltivata da numerosi operatori culturali, giornalisti e scrittori che educavano il popolo.
Tutto questo era scomparso dopo un ventennio di dittatura fascista italiana: non una scuola, un maestro; pochi sacerdoti non un giornale, un libro, un’associazione, una casa del popolo, una tipografia, una biblioteca nessun rappresentante al parlamento, nulla. Decine di migliaia di persone erano state costrette ad emigrare molti erano stati gettati nelle prigioni i monumenti culturali erano stati distrutti, i libri e gli archivi bruciati, gli onorati cognomi degli avi erano stati cambiati con la forza”.
Cosi sintetizza la snazionalizzazione uno dei più importanti intellettuali istriani, Ljubo Drndic.
Come successivamente accadrà a Spalato alla fine dell’aprile 1941 la canaglia fascista si accanirà contro le iscrizioni croate nelle chiese, sui campanili e nei cimiteri.
La riforma Gentile “Lasciò senza lavoro gli insegnanti, i dipendenti pubblici e i professionisti allontanati dagli impieghi e radiati dagli albi professionali con mille stratagemmi ed ancora studenti, dapprima costretti a recarsi clandestinamente in Jugoslavia per poter completare i propri studi e poi impossibilitati a fare ritorno (Nazionalismi ed esodi istriani).
La pesante tassazione obbligò molti contadini che non erano in grado di pagare, di porre all ”asta” i loro poderi e a venderli per pochi soldi.(Italiano con la coda)
Il contadino istriano ritornò allo stato di “colono”, bracciante di proprietà del latifondista fascista
Nell’aprile 1941 cinquemila giovani istriani furono rastrellati e rapidamente trasferiti nell’Italia meridionale per tenerli il più possibile lontano dall’Istria.
In base alle ricerche degli storici italiani, subirono a condizioni disumane che li portarono alla morte.
Alcuni furono rinchiusi in campi di concentramento come quello di Casarossa (Alberobello) o dispersi nelle unità navali, sopratutto a bordo dei sommergibili (Gino Marchitelli).
Da una comunicazione del comitato storico della fondazione di Casarossa, del 22 febbraio 2019 “Dai decreti di internamento si evince che molto spesso, questi internandi non sono stati passati per le armi, nè deferiti, nè condannati dal Tribunale militare di guerra italiano come è successo a tanti loro amici solo per insufficienza di prove (o mancanza di tempo) circa la loro attività antifascista”.
La colpa di questi deportati è una presunta “anti italianità” come risulta infatti dai decreti di arresto.
“Essersi appartati nelle manifestazioni patriottiche, non essersi iscritti al IP.N.F., essersi mostrati “contrari alle patrie istituzioni e avere avuto sentimenti slavi”.
I detenuti erano costretti a utilizzare la lingua italiana anche comunicando tra loro.
La mancata osservanza prevedeva per il malcapitato torture e settimane di isolamento.
Il redattore di questo documento considera come un fatto naturale che la popolazione di Alberobello li abbia considerati “anti italiani” e, quindi, meritevoli di essere eliminati.
Il regime fascista, con questa deportazione di massa, privò le famiglie istriane contadine non soltanto degli unici sostegni nel duro lavoro dei campi, ma anche di punti di riferimento culturale ed emozionale.
A tale scopo il fascismo utilizzò metodi più sofisticati per cancellare la cultura slava.
Sempre Drndic “Con l’occupazione italiana in paese esistevano soltanto la scuola italiana e la caserma dei carabinieri. I bambini erano costretti a frequentare quella scuola: Alcuni maestri avvelenati di ideologia fascista, a loro parlavano con disprezzo della loro origine croata alla quale, dicevano, essi dovevano rinunciare per diventare figli della “civile nazione italiana”.
Cosi, anche attraverso i bambini, i fascisti si sforzavano di seminare tra le famiglie croate il seme della discordia e del dubbio”.
RESISTENZA : DIRITTO NATURALE
Gli emigrati e i rimasti diedero vita nel 1926 a un organizzazione segreta dapprima definita T.I.G.R. dalle iniziali delle principali località della regione (Trieste, Istria, Gorizia,Fiume (Rijeka)).
Il programma prevedeva “una lotta senza compromessi contro il fascismo e le sue istituzioni con tutti i mezzi fino alla finale sconfitta del fascismo.”
L’attentato del 1930 al giornale fascista il “Popolo di Trieste” scatenò un ondata repressiva che portò alla decapitazione della rete clandestina.
Dinanzi al Tribunale Speciale per la sicurezza dello stato furono condotti 87 membri dell’organizzazione.
Frdo Bidovec, Fran Marusic, Zvonimir Milos e Alojzj Valencic furono giustiziati .
Il “Secolo”, rifiuta di considerarli antifascisti perché “La resistenza doveva venire più di un decennio dopo”.
L’anno precedente, nel 1929, il tribunale speciale di Pola, aveva processato un piccolo gruppo di ribelli istriani che, disturbando l’afflusso dei votanti al plebiscito indetto dal regime a dimostrazione della sua solidità, in Istria, aveva provocato la morte di un contadino croato.
Il regime colse l’occasione per manifestare la sua potenza poliziesca ed oppressiva.
In una “città caserma” come Pola, dovuta alla presenza di guarnigioni, scuole militari, Guardia di Finanza “fu proclamato lo “stato di assedio”. Vi furono fatti affluire rinforzi di reparti speciali dell’esercito e dei carabinieri; Aerei sorvolavano la città nel cui porto era ancorato un notevole numero di unità da guerra”.(Nazionalismi ed esodi istriani)
Il tutto in una città che non superava i 25 mila abitanti.
Durante il processo mancò l’energia elettrica e nell’aula del tribunale serpeggiò il panico: antifascisti croati e italiani avevano tagliato i cavi elettrici e tutta Pola era piombata nell’oscurità.
Nella città vennero lanciati manifestini antifascisti.
Vladimir Gortan, ritenuto il capo del gruppo dei ribelli, fu condannato a morte.
Evento che dimostrò all’opinione pubblica internazionale come l’annessione italiana dell’Istria fosse una conquista imperialistica.
La posizione degli esponenti della cultura istro-veneta nei confronti dell’esecuzione di Gortan e, in particolare, la loro approvazione all’operato della polizia fascista, ebbe conseguenze disastrose.
Perchè determinò una frattura irreversibile fra la nazionalità italiana e quella slava.
ISTRIA ANTIFASCISTA
Durante il ventennio fascista l’Istria aveva manifestato la sua carica rivoluzionaria contro un sistema oppressivo.
Il regime aveva installato, prima ancora del secondo conflitto mondiale, decine di guarnigioni di “camicie nere” schierate a difesa del “italianità” contro l’elemento slavo e gli antifascisti.
Nel 1920 Albona e le sue miniere, per 36 giorni, aveva proclamato la “Repubblica Sovietica di Albona”.
A Rovigno l’elemento italiano, dalle solide tradizioni socialiste maturate durante il periodo austriaco, opporrà per tutto il periodo italiano una resistenza tenace e continua al fascismo, tale da essere definita la “Piccola Mosca”.
RESISTENZA E DIRITTO NATURALE
Il tentativo da parte del fascismo di assimilare totalmente l’etnia slava, rappresentò un pericolo mortale per l’intero patrimonio di lingua, sentimenti e tradizione.
“La negazione del proprio modo di esistere rende necessario difendersi e combattere per preservare il proprio peculiare modo di vita perché la Resistenza appartiene alla sfera del diritto naturale”.
Il filosofo tedesco Schmitt conclude “Colui che non ci permette di vivere come vogliamo, è il nemico”.
L’A.N.P.I. lo ribadisce quando sostiene che i partigiani avevano combattuto con le armi in pugno per sconfiggere il terrore fascista e nazista e conquistare la pace, la libertà e la democrazia.
NEOFASCISMO
La cerimonia della restituzione alla comunità slovena di Trieste del Narodni Dom prevede la visita al “cippo” di Basovica che ricorda i quattro patrioti slavi condannati a morte, nel 1930, dal tribunale speciale fascista.
Per Roberto Menia, rappresentante del neofascismo, questi eroi non appartengono alla categoria dei resistenti slavi, ma sono dei volgari terroristi riconosciuti colpevoli di una serie di attentati e meritevoli di essere eliminati.
E conclude.
“All’epoca vigeva la pena di morte; oggi prenderebbero l’ergastolo da un qualunque tribunale italiano, eppure il Presidente della Repubblica, magistrato supremo, và a riverirli . (impeachment?)
DUX DIXIT
Menia nega il diritto naturale dell’etnia slava a difendere la sua identità culturale e si ritiene custode della “mistica fascista”.
E’ soltanto uno scolaro discolo e distratto.
Dimentica che nel luogo dell’attentato: al Faro della Vittoria e nella sede del giornale fascista “Il Popolo di Trieste” fu ritrovata una copia di “Giustizia e Libertà” dove veniva riprodotto un passo di Mussolini, dei tempi in cui era ancora socialista.
Il Duce del fascismo, Benito Mussolini, sosteneva che “Quando un governo sia repubblicano, sia monarchico, vi perseguita o vi getta fuori dalla legge e dall’umanità, oh, allora non bisognerebbe maledire la violenza che risponde alla violenza, anche se fà vittime innocenti” (Dux Dixit).
Fabio Vallon Presidente Comitato Provinciale A.N.P.I. Trieste
Remo Calcich – scrittore e conferenziere A.N.P.I.
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