FOIBE… ISTRIA, FIUME, DALMAZIA, RITORNEREMO
La riscoperta delle vicende drammatiche del confine orientale, durante il secondo conflitto mondiale e dopo, non rappresenta un fenomeno esclusivamente italiano.
Nell’Europa centro-orientale, a partire dalla fine degli anni novanta, nella fase di passaggio dal modello comunista a quello dell’economia di mercato, in un clima di rinnovato revanscismo anticomunista, hanno ritrovato popolarità narrazioni storiche fasciste.
L’esodo da Pola, nel 1947, viene equiparato a Trieste, negli ambienti irredentisti, all’espulsione (Vertreibung) di milioni di tedeschi, immediatamente alla fine della seconda guerra mondiale, dai territori dell’Europa orientale.
All’inizio del 1992 Gianfranco Fini, segretario del Movimento Sociale, con un gesto provocatorio e accompagnato da Roberto Menià, proconsole dell’estrema destra triestina, denunciò come ingiusti e vergognosi i trattati di pace del 1947 e di Osimo del 1975 e pronunciò un giuramento: Istria, Fiume, Dalmazia, ritorneremo.
Nel 1994 e nel 1995 sotto la spinta revanscista, cominciarono essere pubblicati sulla stampa nazionale articoli sul tema delle “foibe” .
“Panorama” fece scalpore con la diffusione di un “dossier” di novanta pagine sulle “Foibe” corredato da nomi e fotografie.
L’autore elencava i crimini commessi dai partigiani jugoslavi a Trieste, in Istria, in Dalmazia: una narrazione che circolava a Trieste, da decine d’anni.
Tutto questo in linea con l’ “amarcord” del “Sangue dei vinti” di Pansa: operazione editoriale tesa a trasformare criminali fascisti in martiri.
La rievocazione di questo clima creò una atmosfera malsana tale da contagiare la sinistra triestina.
Stelio Spadaro, segretario triestino del partito democratico della sinistra, sollecitò la sinistra ad ammettere le responsabilità comuniste nella tragedia delle Foibe.
Era convinto che l’ossessiva e continua polemica sull’argomento, a Trieste, aveva psicologicamente isolato la città dal contesto nazionale.
Lo “sdoganamento” del neofascismo ebbe una svolta più decisa con l’incontro, tenutosi il 14 marzo 1998, all’università di Trieste tra Fini e Luciano Violante, presidente della Camera e membro autorevole del PD .
Sia Fini che Violante concordarono sulla necessità di ricucire “una memoria superata” riconoscendo le doppie tragedie della “Risiera” e delle “Foibe”.
A loro vedere, una nazione incapace di convivere tra fascismo e comunismo doveva dotarsi di un “denominatore comune”, identitario.
Il “Manifesto” e 75 studiosi reagirono contro questa reale “svendita” dei valori della Resistenza.
Porre sullo stesso piano coloro che avevano creato le ”camere a gas” (fascisti e nazisti) e chi avevano combattuto per un mondo migliore, era inaccettabile.
La legge che nel 2004, ha istituito il “Giorno del Ricordo” nasce su queste premesse.
Dal 2004 questo strumento fu utilizzato per eliminare i valori resistenziali e svuotare della sua carica antifascista la Costituzione e orientare e permeare l’opinione pubblica italiana..
Ricordando le “foibe” si pone l’attenzione su una fantomatica “pulizia etnica” degli italiani da parte dei partigiani titini del Nord-Est durante e dopo il secondo conflitto mondiale e l’esodo di centinaia di migliaia di italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia.
Coloro che si oppongono a questa verità vengono considerati “negazionisti”, passibili di sanzioni penali.
Progressisti e comunisti sono complici dei “criminali slavi”.
DEPORTAZIONI FASCISTE
Nell’estate 1941, a pochi mesi dall’invasione nazifascista della Jugoslavia, nei territori occupati del Nord-est, si sviluppò un movimento resistenziale che impegnò severamente gli eserciti aggressori.
Il tentativo di riprendere il controllo militare e politico portò alla deportazione di nuclei consistenti di popolazione civile.
Si calcola che sia stato deportato il 5% ca della popolazione slovena.
I campi di internamento nei quali vennero recluse più di 30mila persone furono quelli di Gonars e Arbe dove la mortalità è stata superiore a quella dei lager nazisti.
La risposta fu la guerriglia partigiana che, nella seconda metà del 1942, appoggiata da un vasto consenso popolare, sconfinò nel “retroterra” fiumano e nel goriziano.
Il movimento partigiano istriano si limitò a costruire consenso e a formare quadri.
Cinquemila giovani istriani provenienti dai villaggi istro-croati furono internati nel sud Italia, nell’estate 1941.
Il governo italiano per evitare qualsiasi potenziale resistenza reclutò i giovani istriani delle cittadine costiere e li disperse sulle navi della Marina Militare. Nazionalismi ed esodi istriani)
RISCOSSA SLAVA
“Il Regno d’Italia stato nazionale poco esperto e poco attento ai problemi delle aree mistilingui, e per giunta, assai presto trasformatosi in un regime autoritario, quello fascista, fu animato da un feroce antislavismo” (Pupo). Il regime creò le condizioni per la nascita di un movimento popolare antifascista che si ricollegava all’austrosocialismo profondamente radicato fino alla prima guerra mondiale, nella realtà triestina ed istriana.
Il nucleo della resistenza fu costituito da istriani espulsi immediatamente dopo la fine della prima guerra mondiale, calcolati in ca 100mila esuli.
Ljubo Drndic descrive in “Le armi e la libertà” il suo ritorno in Istria, nel dicembre 1941 e i suoi contatti con gli ex panslavisti e i seguaci di Vladimir Gortan, l’eroe popolare istriano giustiziato con gran clamore dal governo fascista.
Drndric non manca di sottolineare come fin dagli inizi si siano inseriti nel movimento di liberazione gli antifascisti e comunisti istro-veneti.
Le miniere di Albona, del nord-est dell’Istria, nel marzo 1921, costituirono l’epicentro del movimento della resistenza al fascismo (La repubblica anarchica e sovietica di Albona) .
Prima e dopo l’8 settembre 1943 il severo controllo e le persecuzioni accurate e quotidiane attuate da un servizio d’ispezione composto da “fascisti” provenienti dell’Iglesiente, non riuscirono ad impedire il trafugamento da parte dei minatori istriani di 200 chilogrammi di esplosivo nascosto abilmente intorno alla cintura dei minatori e sottratti dai depositi utilizzati per l’estrazione.
Gli 8mila minatori ribelli rappresentavano tutte le comunità istriane.
“In tal modo il bacino carbonifero dell’Albonese e l’organizzazione del partito che in esso operava e stesero la loro influenza a quasi tutto il territorio istriano e numerosi contadini minatori vennero a formare i quadri attivi del Movimento di liberazione nella campagna, avvicinando il villaggio alla città.
Il lavoro nella miniera in quell’epoca veniva considerato come servizio militare. Nel bacino carbonifero vennero a trovarsi riuniti migliaia di giovani che costituivano la più importante riserva nella guerra partigiana”.
Saranno questi elementi rivoluzionari a coordinare e a disciplinare le comunità istriane nel breve periodo in cui nel settembre-ottobre 1943 l’Istria fu liberata.
Il movimento partigiano impedì alla comunità istriana, sconvolta, di implodere e a sostenerla mediante la raccolta di aiuti in viveri, vestiario, calzature e medicinali.
Se ad Albona i croati costituivano l’etnia prevalente, a Rovigno un comitato di liberazione in prevalenza italiano “Dirigeva le cellule nelle fabbriche in città ed anche l’organizzazione dei contadini comunisti croati del territorio circostante e di Villa di Rovigno”.
8 SETTEMBRE JACQUERIE
Le vicende del 1943 costituirono l’occasione per regolare i vecchi conti ormai secolari con l’elite sciovinista istro-veneta scatenare la violenza popolare e ribaltare le gerarchie.
Le classi subalterne si sentirono cosi autorizzate ad appropriarsi dei beni e dei privilegi dai quali erano state escluse.
Gli obiettivi furono non soltanto i gerarchi fascista, ma anche i proprietari sia istro-veneti che istro-croati organici al regime fascista.
Quando ai partigiani slavi subentreranno i nazifascisti questi soggetti saranno in prima linea nelle rappresaglie contro i villaggi slavi dell’interno istriano.
L’esplodere del furore slavo represso in oltre un ventennio nei confronti di un regime come quello fascista che aveva sconvolto la convivenza fra le etnie del Nord-est determinò gli eventi dell’otto settembre 1943.
Gli storici italiani di centro destra contrastano la tesi della “spontaneità” dell’insurrezione e ritengono che, alla base della violenza partigiana, esistessero esclusivamente “elementi di organizzazione e centralizzazione della violenza”.
Questo teoria è totalmente insostenibile.
Perchè se da una parte, segnala l’inconsistenza del movimento partigiano e la sua incapacità di controllare la jacquerie, dall’altra, afferma che il caos generato dal crollo verticale fascista venne pesantemente condizionato da elementi dell’emigrazione avulsi dalla realtà istriana e, nello stesso tempo, capaci di imporre uno “stalinismo balcanico”.
Guido Miglia, esule, scrittore e direttore del “Arena di Pola” dal 1945 al 1947 in “Dentro l’Istria” “Io penso sempre al male che ci ha arrecato quel regime (fascista) il quale ha portato tra noi il costume della violenza e della presunta superiorità razziale, della prepotenza, un costume che era lontano dalla nostra indole e che ora stiamo subendo. La rivolta fu quella di un popolo, quello istriano, vilipeso, impoverito. straziato”
Drndic, descrive i momenti salienti della rivolta. “Dai villaggi istriani partirono migliaia di contadini intonando canti. Si misero in marcia per la strada bianca, c’erano donne, bambini, vecchi, giovani e gente di ogni età.
In testa marciavano i partigiani armati e avevano qualsiasi arma a disposizione: fucili, accette e roncole.
Quando arrivarono nei pressi della caserma dell’esercito italiano di Lanischie il popolo lanciò un formidabile e collettivo “Hurrà”, l’urlo con il quale l’armata sovietica aveva terrorizzato i nazisti.
“La porta della caserma venne abbattuta , il popolo penetrò dentro. L’incendio si propagò a tutte le caserme del centro e del nord istriano.
Il 10 settembre, l’assalto si rivolse contro il presidio di Lupogliano che contava la presenza di oltre 500 unità tra soldati e ufficiali.
Il comandante del presidio e gli ufficiali superiori, negli anni precedenti, avevano sottoposto ad angherie la popolazione.
Sicuri di doverne rispondere, in un primo tempo, avevano respinto la proposta di resa in attesa di aiuto da parte di truppe nazi-fasciste.
Di fronte ad un attacco possente i vertici militari furono costretti ad arrendersi ai rivoltosi.
Il primo battaglione partigiano insieme alla popolazione dei paesi vicini occupò la caserma”.
Per impedire che il furore popolare potesse diventare incontrollabile i comandanti partigiani, dotati di prestigio, convinsero i rivoltosi che la vendetta nei confronti dei vertici militari italiani si sarebbe trasformata in un risultato sterile”.
Questi interventi eviteranno stragi generalizzate.
Le forze partigiane ormai dotate delle armi sottratte a queste guarnigioni dell’esercito italiano furono in grado di attaccare il presidio di Pinguente difeso da mille uomini. Questa struttura cadde sotto una spinta popolare partita dai paesi dell’interno istriano.
Tutto questo non impedì, come succede in tutte le rivolte contadine, faide paesane e regolamenti di conti.
“La folla infuriata chiedeva che il comandante della guarnigione e gli ufficiali dichiaratamente fascisti venissero puniti con la morte.
Convocammo subito un raduno popolare e spiegammo alla gente la ragione per cui dovevamo tener fede alla parola data, perché data da partigiani era di gran lunga più importante della vita di alcuni miserabili fascisti.
Il popolo accettò le spiegazioni perché aveva fiducia nel partito e nei dirigenti del Movimento; non era facile, altrimenti accettare che rimanessero impuniti uomini che avevano meritato la massima pena, seppe comunque distinguere, in quei burrascosi momenti, i soldati italiani dai fascisti.
Dimostrò una grandissima comprensione per la tragedia del soldato semplice, italiano.
Diversi soldati chiesero di entrare a far parte delle nostre unità”.
In tale occasione fu concesso ai soldati e agli ufficiali italiani di ritornare alle proprie abitazioni.
Un gruppo consistente decise di rimanere sul territorio e guidò la repressione nazifascista.
MITOLOGIA DELLE FOIBE
Il nome “foiba” deriva dal torrente omonimo che scorre sotto il castello di Pisino, in una voragine profonda 120 metri.
Il nome è stato usato per indicare genericamente tutte le voragini carsiche.
Durante la seconda guerra mondiale per la difficoltà di scavare nel terreno roccioso fosse comuni sono state utilizzate in Istria, per nascondere le salme.
Le cavità minerarie di bauxite sono state adibite per lo stesso scopo.
LA FOIBA DI BASOVIZZA
Basovizza, sull’altipiano carsico, alle spalle di Trieste è diventato nel tempo, un luogo “simbolo” di tutte le foibe. E’ una cavità presente in un territorio reso famoso per essere stato, nell’aprile 1945, di fucilazioni di massa.
Ritenuta un contenitore di questi eccidi le autorità alleate avviarono tentativi di recupero delle salme e si resero conto che, quanto affermato nell’estate 1945 da un giornalista italiano che aveva diffuso le “fake news” che a Basovizza erano stati infoibati 1500 italiani, era completamente falsa.
Tale convinzione si è poi consolidata nella memoria e nell’uso pubblico e viene ancora oggi spesso ripetuta senza alcun vaglio critico.
Lo storico Jose Pirievec, alla domanda su quali basi la foiba di Basovizza è stata proclamata monumento nazionale replica “Su nessuna, per quanto mi risulta. Io ho visto i documenti statunitensi e britannici su Basovizza. Appena presero il controllo di Trieste, dopo il 12 giugno 1945, gli alleati furono sollecitati dalle forze politiche italiane ad effettuare un esplorazione della foiba.
Nei primi giorni dopo la ritirata jugoslava da Trieste, nell’estate 1945, ci furono alcune esplorazioni. Ricerche più concrete cominciarono alla fine di luglio o all’inizio agosto, e si protrassero fino alla fine di novembre.
Nella voragine furono trovati i resti di 150 persone, tutti soldati tedeschi e un civile, oltre a carogne di cavalli.
Tra la fine di aprile e l’inizio maggio 1945, infatti Basovizza fù teatro di intensi combattimenti tra tedeschi e partigiani.
A scontri finiti era necessario liberarsi il più presto possibile dei nemici caduti e delle carogne degli animali, gettando tutto nella fossa più vicina.
Non si trattava di una foiba naturale tipica del Carso, ma del pozzo di ingresso di una miniera di carbone, mai entrata in funzione.
Statunitensi e britannici svolsero una ricerca molto approfondita, cercando di individuare le vittime basandosi sulle uniformi. In particolare cercarono i bottoni, perchè da essi si poteva capire a quale formazione appartenessero le vittime”.
Nonostante l’impegno profuso nella ricerca perché le autorità alleate speravano di poter sfruttare la vicenda a fini politici contro la Jugoslavia comunista non riuscirono a trovare praticamente nulla, oltre a quanto già citato.
Negli anni successivi altri sopralluoghi effettuati da speleologi triestini e dall’esercito italiano ha riconfermato quanto verificato precedentemente.
Nel 1959 il pozzo di Basovizza fu sigillato con una lastra di pietra affinché nessuno potesse procedere a ulteriori indagini, con il pretesto che un ulteriore esplorazione era troppo pericolosa per la presenza di esplosivi o simili .
Nei primi anni sessanta il pozzo di Basovizza diventò il simbolo di tutte le “Foibe”, un luogo di pellegrinaggio, tanto che nel 1992 è stato proclamato monumento nazionale”.
Un pericoloso precedente che ha inquinato una corretta valutazione storica.
NUMERO DEGLI INFOIBATI
Il tribunale militare partigiano con il compito di giudicare e condannare i fascisti era stato istituito a Pisino nell’ottobre 1943.
Dopo aver proceduto alla condanna e all’esecuzione di elementi dal chiaro “curriculum criminale”, l’improvvisa avanzata delle truppe tedesche, precedute dai pesanti bombardamenti di Pisino, Rozzo, Gimino e di altre località, lo colse di sorpresa.
Gli esponenti dei comandi e dei servizi di sicurezza partigiani furono costretti a sbarazzarsi dei prigionieri in attesa di esecuzione.
I deportati furono trasferiti in fretta e furia, prima dell’arrivo dei tedeschi in vari posti della campagna istriana,
Le esecuzioni avvennero in prossimità delle foibe e delle cave di bauxite.
RECUPERO
In Istria, il recupero delle salme venne affidato al distaccamento del 41° Corpo dei Vigili del Fuoco di Pola che impegnò diverse squadre di soccorso dirette dal maresciallo Arnoldo Harzerich. Dell’intera operazione si occupò ampiamente la stampa fascista dell’epoca, che promosse un ampia azione volta a mobilitare nuove forze nelle file fasciste, accreditandole come ultimo baluardo in difesa della Patria minacciata dagli slavi.
Nella relazione dei vigili del fuoco a conclusione delle varie azioni di recupero, iniziati in ottobre e terminate nel dicembre 1943 (riprese in parte nella primavera successiva) sono descritte minuziosamente tutte le esplorazioni effettuate nelle varie cave di bauxite.
Le squadre composte da centinaia di vigili estrassero nella prima fase 266 salme di cui 121 identificate (12 delle quali di soldati tedeschi).
Successivamente nella primavera del 1944 si aggiunsero 170 recuperate a cui andrebbero aggiunti i resti scoperti ma non recuperati di almeno 250 persone uccise.
Erano state disperse nelle foibe di Vines, Terli, Castellier, Pucicchi, Surani, Cregli, Carnizza ed altre ancora situate nei territori di Albona, Pisino. Gimino e Barbana nonché nelle diverse cave di bauxite.
Il totale delle vittime delle foibe e delle cave di bauxite ammonta ad un totale di 685. Come risulta dalla relazione di Harzerich (I.R.C.I.-Istituto ricerche storiche istriano).
Per molte di esse non è stato possibile stabilire la nazionalità. Infatti il sovrapporsi dell’invasione nazifascista e dell’effimera presenza partigiana non esclude la presenza nelle foibe di vittime partigiane non identificate.
Trasformare queste cifre di vittime in decine di migliaia (vedi l’articolo sull’Avvenire del 6-1-2018 )vuol dire stravolgere la verità.
ESPULSIONE DEI REGNICOLI
Il 26 settembre 1943, il Comitato di “liberazione” istriano decise l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia. L’occupazione italiana aveva portato, durante il ventennio precedente, alla distruzione totale delle conquiste e dei diritti acquisiti dall’etnia slava, precedente.
“L’Italia trattò barbaramente gli slavi della mia terra, non abituata ad amministrare delle minoranze etniche. L’italiano crede spesso che chi parla una lingua diversa dalla sua sia una persona inferiore e nemmeno sospetta che molte volte può invece trattarsi di gente che ha dietro di sè una lunga e importante civiltà”.(Miglia)
Sarà questa esperienza a convincere il Comitato ad espellere i regnicoli “Tutti gli italiani che dopo il 1919 immigrarono in Istria alla scopo di snazionalizzare il nostro popolo, debbono ritornare in Italia”.
Drndic capo storico dell’emigrazione istro-croata durante il ventennio distingue: “I nostri italiani (istro-veneti) erano diversi e molti di loro avevano subito dure condanne durante il periodo fascista”.
Per cui il proclama di annessione prevedeva che “La minoranza istro-veneta godrà tutti i diritti nazionali: libertà di lingua, istruzione, di informazione e sviluppo culturale”.
L’emigrazione italiana che, a partire al 1918, era pervenuta in Istria allo scopo snazionalizzare la componente slava e collaborare con il nazifascismo.
Per tre anni fino alla conclusione della Conferenza di Parigi del 1946 e durante la presenza inglese gli immigrati vivranno l’incubo, in un Istria jugoslava, di essere discriminati ed eventualmente “infoibati”.
Nella nuova Jugoslavia la comunità nazionale italiana non sarà oggetto di una “pulizia etnica” ma dovrà rassegnarsi al ruolo di minoranza.
Negli ultimi 30 anni riemergerà socialmente e politicamente diventando una lobby sempre di più determinante.
Gli storici istro-veneti come Ezio Giuricin ritengono che, comunque, nella prima fase l’etnia istro-veneta sarebbe stata costretta ad “espiare una “colpa storica” in base ad una responsabilità più o meno collettiva che in qualche modo sarebbe dovuta ricadere su tutto il popolo italiano”.
Dalla fine del secondo conflitto mondiale l’Unione Italiana rappresenta nelle repubbliche di Croazia e Slovenia la minoranza. Il suo “status” giuridico è garantito dalla repubblica italiana e da quelle croata e slovena ed è l’erede della preesistente Unione degli Italiani.
Il suo statuto prevede la suddivisione in 52 comunità locali.
Una minoranza che con una ricca attività editoriale ha salvaguardato l’identità culturale e linguistica della comunità istro-veneta e un solido sistema scolastico composto da scuole materne, elementari, medie, superiori e facoltà universitarie. (Requiem per il popolo istriano)
OFFENSIVA NAZIFASCISTA – OTTOBRE 1943
Il comando tedesco non disponeva inizialmente, alla metà del settembre 1943, a Trieste, Pola e Fiume di forze armate, in grado di domare la rivolta partigiana.
Soltanto alla fine di settembre, con rinforzi provenienti dalla Germania, iniziò un offensiva nazista possente e adeguata all’importanza militare e strategica del territorio istriano.
Furono utilizzate ingenti forze navali e terrestri.
Dopo un bombardamento massiccio, il 27 settembre l’offensiva piombò sull’Istria con tutta la sua carica distruttiva.
A Pisino (Kresini) massacrarono 578 persone e annientarono il battaglione partigiano pisinese a cui si era aggregato un folto numero di marinai italiani che aveva disertato.
In questa circostanza furono fucilate 157 persone, di cui 10 feriti prelevati da un ospedale.
Il comando operativo partigiano dell’Istria impegnato nella riorganizzazione delle proprie unità militari ed ad occupare le ultime cittadine istriane rimaste sotto il controllo delle forze antifasciste locali, non aveva condotto alcun preparativo per fronteggiare l’offensiva, sottovalutando l’importanza strategica attribuita dai tedeschi alla stessa regione.
“Fascisti, carabinieri, questurini, ed ex militari dei corpi specializzati, risparmiati dal furore popolare protetti alimentati dai partigiani nelle tre settimane precedenti, si posero a disposizione dei nazisti, nei rastrellamenti e nelle rappresaglie”.(Giuricin)
“Volontari istriani dei risorti “fasci di combattimento” entrarono a Buie il 4 ottobre per proseguire assieme alle S.S. tedesche verso Umago, Monpaderno, Visinada, Visignano e Parenzo”.
Una corrente storica revisionista minimizza l’apporto dei collaborazionisti
“Alcuni reparti (nazisti), avevano come guide (sic !) gerarchi fascisti che erano riusciti (come?) a fuggire in tempo dopo l’armistizio ed ora vi facevano ritorno da “eroi disarmati” per liberare e vendicare i loro conoscenti da “eroi disarmati”.(Pupo – Memorandum)
La popolazione civile e il movimento partigiano “dovettero pagare un pesantissimo tributo di vittime.
Il comando tedesco in un suo rapporto, per il periodo 25 settembre – 9 ottobre 1943 , vale a dire due settimane, riporta la cifra di 4.096 uccisi e 6.850 fatti prigionieri ed eliminati nei campi di sterminio.
Da tutto ciò risulta che l’offensiva nazifascista ha provocato molte più vittime, appartenenti ad entrambe le etnie, di quelle attribuite ai partigiani slavi.
La prima zona investita, la Ciceria, fu completamente distrutta.
Il “santuario” della mia famiglia materna sparì nel nulla.
“La memoria delle stragi nazi-fasciste rimase debole perché assimilata alle “normali violenze belliche” avvenute in quel periodo nel quadro europeo mentre quelle identificate come prodotte dalle “foibe”, costituiscono il vero “dramma” da perpetuare nel tempo.
COLLABORAZIONISMO
Mentre le forze germaniche irrompevano nel centro e nel nord dell’Istria il maggiore della X° flottiglia Mas, Umberto Bardelli, giungeva a Pola al seguito dei nazisti con il compito di ricostituire i “fasci di combattimento”.
La “Vedetta d’Italia” invitava tutti i cittadini di “pura fede italiana” a collaborare lealmente, in armi a fianco dell’alleato per difendere l’italianità .
La M.D.T. (Milizia Difesa Territoriale) comandata dal figlio di Nazario Sauro, Libero Sauro, protagonista fin dagli anni venti della politica di snazionalizzazione fascista si estese su tutto il territorio istriano: una rete di una settantina di presidi e di distaccamenti fascisti che procedette a massacri e a distruzioni di interi villaggi.
Il fascismo repubblichino camuffato da “irredentismo” espresse, nel suo sciovinismo antislavo e anticomunista, per diciotto mesi, la sua carica di violenza feroce.
Nel 1946 , a guerra finita, Fabio Cusin, politologo triestino noterà, con una certa amara ironia “ Trieste e Pola occupate erano le città più tranquille della Germania.
L’occupante germanico nella gestione di Pola, dimostrò una capacità politica superiore a quella italiana, del ventennio.
Un operazione confermata dalle numerose misure di carattere economico giudiziario, politico e militare.
“A Pola i tedeschi avviarono una politica del consenso, con aumenti salariali e pensionistici ai dipendenti pubblici , miglioramenti delle razioni alimentari e perfino la diminuzione del prezzo del pane.
Verranno assegnati premi e diplomi ai lavoratori più anziani nel tentativo di risvegliare il vecchio patriottismo asburgico e concederà, nell’aprile 1944, il posticipo di due ore del “coprifuoco”, alle ore 21 (Nazionalismi ed esodi istriani).
Fu in grado di garantire alla comunità polesana dell’Adriatischekustenland, ormai avulsa dal contesto statuale italiano contropartite molto importanti: la prospettiva di un reale sviluppo economico, la difesa della cultura municipalistica e delle prerogative linguistiche e culturali della “piccola patria” istriana.
Nella sistemazione post-bellica la città sarebbe stata una cellula territoriale che avrebbe concorso, insieme ad altre “piccole patrie”, alla costituzione di un nuovo ordine europeo.
In questo modo l’intera regione fu sottratta alla sovranità italiana.
LIBERAZIONE ALLEATA
Nella tarda primavera del 1944, dopo lo sbarco in Normandia, l’occupazione alleata di Roma e l’Armata rossa alle porte di Varsavia convinsero le popolazioni che fino allora si erano sentite protette dal nazismo che questo aveva ormai i mesi contati.
La X° flottiglia Mas, istriana, contattò il Governo del sud perché il Nord-est, l’area giuliana venisse prontamente occupata dagli alleati.
Un intervento militare degli alleati avrebbe bloccato il movimento partigiano slavo e, quindi, le rivendicazioni jugoslave per l’annessione.
Il piano caldeggiato dallo stato maggiore britannico fu denominato “ARMPIT” ed era quello di “Distruggere o quantomeno indebolire le forze tedesche nell’Italia settentrionale e conquistare i principali porti nord adriatici per sostenere un eventuale avanzata verso l’Austria e accelerare il ritiro dei nazisti dai balcani.
Lo esigeva come azione di risposta alla rapida invasione russa nei balcani e alla pericolosa influenza che l’Unione Sovietica stava esercitando in tale area (J. Barker)”.
Alla fine questo piano di sbarco fu osteggiato dagli americani e naufragò.
La “Land force adriatic” rimase sulla carta.
La delusione della popolazione di Pola, costituita in prevalenza da “immigrati”, fu evidente.
Non sarà l’ultima.
I nazisti ritennero l’invasione comunque possibile ed imminente e, dall’autunno del 1944 alla primavera, rinforzarono un controllo già assoluto, sulla penisola istriana.
APRILE 1945 – DALLE MEMORIE DI UN UFFICIALE REPUBBLICHINO
All’inizio di aprile 1945 la popolazione polesana si rese conto che per la città si avvicinava la “resa dei conti” “Erano stati affissi ai muri dei manifesti del comando della piazzaforte di Pola, coi quali si ordinava lo sgombero di tutta la popolazione maschile e femminile che non fosse occupata in lavori inerenti alla guerra”.
Chi non avesse ottemperato a tale disposizione “Sarebbe stato prelevato dall’autorità nel suo domicilio e portato in località stabilite dal comando tedesco”.
I russi erano a Berlino-est. La Germania era completamente occupata.
Fino a quel momento la struttura militare nazi-fascista era riuscita a contenere il dilagare delle forze partigiane.
Il 27 aprile il presidio militare di Pola si era ridotto a 5.400 uomini: 4 mila tedeschi e 1.400 italiani e decise la resa.
Nonostante che l’Istria disarmata fosse a portata di mano, perché a poche decine di miglia da Venezia, gli alleati preferirono rinunciare alla conquista e agevolarono l’occupazione jugoslava.
L’O.Z.N.A. (servizio informativo dell’esercito jugoslavo) operativa in Istria a partire dall’8 agosto 1944 sarà incaricata di incriminare coloro che si erano macchiati di crimini di guerra.
Nel 1944 e ’45 si era dotata di quella documentazione che provava le responsabilità individuali per procedere ad arresti, perquisizioni.
La storica Moscarda Oblak ritiene che l’OZNA abbia proceduto indiscriminatamente nei confronti di tutti coloro che erano stati indiziati.
All’iniziale lotta contro le guarnigioni nemiche collocate nel territorio istriano il servizio informativo s’incaricò di individuare e colpire gruppi di collaborazionisti che si erano venuti formando per ostacolare il potere partigiano e l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia.
Gli obiettivi erano numerosi. Nell’Istria centrale diventò pericolosa e diffusa l’attività di resistenza armata di centinaia di contadini, soprattutto possidenti.
Questa resistenza, era costituita dai cosiddetti “quadri verdi”: elementi che si erano sottratti all’arruolamento forzato da parte del comando militare partigiano.
Erano forniti di fucili e mitragliatrici e godevano dell’appoggio delle famiglie da cui provenivano.
Alla metà di aprile 1946, a Pola, si era formato un fronte di resistenza anti-partigiana composto dagli immigrati italiani e i componenti della X° flottiglia Mas e della milizia repubblichina.
Alle famiglie fasciste locali si erano aggiunte quelle provenienti da altre zone istriane.
Il clero italiano, schierato contro il potere popolare in nome della difesa del “italianità” forniva a questi gruppi un appoggio “ideologico” determinante.
SPIA
Agli inizi del 1946 mia madre fu incriminata dall’O.Z.N.A. e sottoposta a due interrogatori.
Dopo il terzo, il 18 luglio 1946, fu arrestata e rinchiusa nelle carceri di Pisino.
Il mio patrigno, spietato critico del sistema jugoslavo, nelle sue memorie scrive “ Se le autorità avevano ritenuto opportuno ordinare la sua detenzione preventiva, era da credere che dall’indagine dall’istruttoria in corso dovevano essere emersi gravi indizi.
L’incriminazione era quella di “spionaggio”.
Il legame con un prigioniero nazi-fascista, il suo inoltrarsi in Jugoslavia, a partire dal maggio 1945, per rintracciarlo e salvarlo, costituirono le basi per una presunta colpevolezza.
A questo proposito “I suoi zii di Zagabria (dove era stata ospitata) furono convocati a Pola per deporre al processo. Dopo due mesi esatti, il 18 settembre fu liberata. “
Da tutto questo si ricava che, nonostante il periodo confuso, l’O.Z.N.A. si mosse nei confronti di mia madre rispettando i principi giuridici fondamentali.
Del resto il mio patrigno assegnato ai servizi amministrativi e non alle squadre incaricate alla repressione arrestato agli inizi di marzo del 1945, fu risparmiato.
L’O.Z.N.A. non colpì elementi isolati contrari all’annessione dell’Istria alla Jugoslavia, ma l’attività di gruppi neofascisti consistenti e organizzati dal governo italiano e coordinati da ex militi della X Mas.
La violenza si manifestò non contro gli esponenti irredentisti, ma contro coloro che avevano operato in una posizione preminente, nel sistema nazifascista e che erano stati attivi almeno fino all’agosto 1946., a termine della strage “di Vergarolla”.
INFOIBAMENTI SIMBOLICI
Vengono indicati come “infoibati” tutti coloro che dall’autunno 1943 all’estate 1945 sono stati soppressi dai partigiani.
In “Memorandum” Pupo precisa che queste vittime nulla hanno da fare con le “foibe”.
Precisa inoltre che “l’infoibamento” non costituiva una modalità di uccisione, ma di occultamento delle salme dovuto alla necessità di fuggire senza “fardelli” e afferma “Risultano pochi i casi in cui nell’abisso furono gettate persone ancora vive”.
“Molti, la maggior parte dei cosidetti infoibati, trovarono la morte in prigionia e non nelle cavità carsiche”.
TRADITI DAL GOVERNO ITALIANO
“Questi infelici morirono nei campi di prigionia jugoslavi per gli stenti e le angherie”.(Pupo)
Chiamare “infelici” coloro che avevano scelto nell’ottobre 1943 di collaborare con il sistema neofascista e si erano resi direttamente o indirettamente responsabili di distruzioni, eccidi, massacri di una popolazione inerme, vuol dire schierarsi con “criminali di guerra”.
A salvare l’onore italiano saranno le centinaia di migliaia di soldati italiani che, rifiutando di collaborare con i nazisti, saranno internati nei “lager”.
In Montenegro 20 mila italiani sceglieranno la Resistenza e in 5 mila, andranno a formare nel dicembre 1943, la divisione Garibaldi.
Saranno decimati e soltanto un numero limitato ritornerà in Italia.
Inoltre dalle testimonianze di questi prigionieri e in particolare di quella del mio patrigno il trattamento a loro riservato non depone a sfavore dei militari e della popolazione civile jugoslava.
Detenuti in un paese completamente distrutto (da loro), non ancora pacificato e lo sarà alla fine del 1948, non furono oggetto di alcun tentativo di “linciaggio”.
Nelle sue memorie, è costretto ad ammettere che “il nemico” superato il primo periodo durante il quale aveva manifestato contro di loro un comprensibile “odio”, non mancò di esprimere umanità e “pietas” nei confronti di prigionieri ormai sconfitti .
Non sarà il sistema repressivo jugoslavo il responsabile della loro eliminazione.
In base alla documentazione storica postbellica il nuovo regime jugoslavo alle prese con una situazione drammatica era interessato a regolare il contenzioso relativo ai prigionieri italiani con il governo di Roma.
L’ostacolo poteva sembrare facilmente eliminabile, ma non lo fù.
Se a partire dal luglio 1945 il governo jugoslavo aveva manifestato la sua intenzione di risolverlo, il governo italiano invece di riconoscere la sua legittimità accoglieva e proteggeva in Italia 40mila ustasia e cetnici: criminali di guerra .
Il consolato italiano a Zagabria rilasciava con estrema facilità passaporti a tutti ricercati politici dalla giustizia jugoslava.
L’ostruzionismo del governo italiano continuerà e quello jugoslavo, dopo essersi reso conto che era impossibile concludere qualsiasi compromesso, si decise agli inizi dell’estate 1947 a liberarsi dei prigionieri italiani superstiti.
Sarà la “ragion di stato” adottata dal governo italiano post-bellico, a sacrificare “italiani” che avevano subito, con il loro imprigionamento, una dura punizione.
POLA: UN ENCLAVE INGLESE
L’illusione di poter impedire l’annessione di Pola alla Jugoslavia continuò durante l’occupazione inglese dall’estate 1945 al settembre 1946, nel momento in cui si erano concluse le trattative di pace.
“A partire dall’estate 1945 i polesani separati dal resto dell’Istria, occupata dal potere popolare, si sentivano al sicuro, dei privilegiati.
Pola godeva di una posizione strategica nell’Adriatico, in parte analoga a quella di Gibilterra .
I più ottimisti dei polesani pensavano che non sarebbe stato impossibile ottenere lo stesso “status giuridico”. (Requiem per il popolo istriano)
Se la Gran Bretagna avesse continuato ad assumere nei confronti di Tito l’atteggiamento fermo mantenuto nel corso di tre secoli con la Spagna, i polesani sarebbero diventati cittadini britannici come i liguri e gli spagnoli residenti a Gibilterra.
In considerazione che sia il governo che l’opinione pubblica italiani li considerava, ormai “perduti”.
Lo dimostrava, inoltre, il piano di smobilitazione economica con l’asportazione delle strutture e la chiusura delle attività economiche.
Alcuni esponenti autoctoni, socialisti umanitari come Miglia, suggerirono al governo ed i partiti italiani di riconoscere pieni diritti alla comunità slava istriana.
In altri termini si tentò di porre l’identità slava a livello di quella istro-veneta.
Il tentativo per indire un referendum che permettesse al popolo istriano di esprimere la sua volontà di appartenere all’Italia o scegliere la Jugoslavia, andò a vuoto.
De Gasperi, per impedire che venisse promosso un analogo referendum in Trentino Alto Adige, contro il parere del segretario di Stato americano e quello degli “opinion leader” istro-veneti, impedì l’iniziativa referendaria.
Saranno i leader dei regnicoli, la “lobby” polesana ad organizzare l’”espatrio da Pola”.
I suoi esponenti e i loro eredi costituiranno il “nocciolo duro” del “revanscismo”.
APOLOGIA NEO-FASCISTA
Tutto questo non comporta la negazione del clima di regolamento di conti che a guerra finita si rivolse soprattutto contro gli esponenti neofascisti.
In Francia, in Norvegia e nella pianura padana i criminali e i collaborazionisti nazifascisti, a guerra finita, in un clima di violenza furono giustiziati a decine di migliaia.
Dopo oltre 70 anni il neofascismo continua a manipolare le vicende post-belliche di rivalutare i valori ed ideali fascisti.
Vengono resi mitici eroi noti criminali del periodo più buio della nostra storia.
ERNESTO MARI
Le amministrazioni comunali di Trieste e regionali del Friuli Venezia Giulia nel loro tentativo di corrodere i valori resistenziali, hanno stabilito di intitolare a Ernesto Mari il carcere di Trieste.
Costui era stato direttore del carcere di Trieste dal 1943 al 1945 durante l’occupazione nazista.
Durante la sua gestione, fra l’altro, il 23 aprile 1944, dopo un attentato che aveva provocato alcuni morti nazisti aveva proceduto, per rappresaglia, all’impiccagione di 51 prigionieri politici nel suo carcere.
“Cadaveri appesi alla scalinata interna. La macabra scena era visibile dalle finestre, per chiunque passasse di là”. (Cattaruzza)
Tra le centinaia di vittime torturate ed uccise nel carcere, nell’autunno 1944, risulta Vincenzo Gigante, martire della Resistenza.
Il servilismo di Mari nei confronti del “padrone nazista” fù tale da eliminare tre suoi sottoposti, poco disposti ad eseguire i suoi ordini criminali.
Ai primi di maggio del 1945, dopo essere stato abbandonato dai nazisti, era stato catturato dai partigiani jugoslavi, giudicato e giustiziato.
Per la destra eversiva il Mari è diventato un “solerte servitore” dello stato e, con il suo sacrificio, eroe e degno di essere onorato.
RICCARDO GIGANTE
All’indomani dell’ 8 settembre 1943, a Fiume, la reazione anti-fascista risultò consistente.
Il generale Gastone Gambara comandante di un presidio di 50mila soldati, dopo aver proclamato lo “stato di emergenza” si era vilmente arreso ad un semplice colonnello tedesco accompagnato da due motociclisti.
Il 12 settembre si era costituito una delle prime unità partigiane d’Italia il “Battaglione Volontari italiani Garibaldi” , 260 soldati e ufficiali a cui si era aggiunto il “Battaglione fiumano” composto da civili fiumani e il “Battaglione italo-croato Fiume-Castua”.
Dopo il 23 settembre 1943 il comando del battaglione Garibaldi aveva operato per ottenere l’adesione di ca 40 mila soldati e ufficiali italiani antinazisti, rifugiatisi a Fiume.
Per il loro rifiuto di collaborare questi sbandati saranno deportati.
Questo potenziale movimento partigiano era stato annientato per l’intervento determinante di collaborazionisti fascisti, come Riccardo Gigante, promosso a governatore del territorio.
Nato nel 1881 a Fiume, sindaco della città (novembre 1919-dicembre 1920), dopo D’Annunzio, massima autorità fiumana.; aveva aderito al partito fascista e successivamente era stato nominato dal 1930 al 1934 podestà (sindaco di Fiume).
La sua scalata al potere era proseguita con la nomina a senatore.
Questo personaggio, nonostante l’età, per il suo passato da legionario danunziano e fascista era stato ritenuto completamente affidabile ed idoneo per avviare un attività repressiva fondata su stragi e deportazioni.
“Aveva tutte le carte in regola per assumere la carica di governatore della provincia di Fiume e del Quarnero. (Cattaruzza)
Nel momento della disfatta, dopo essere stato isolato dai suoi complici, il 1° maggio 1945, fu prelevato dall’O.Z.N.A, processato, giustiziato e sepolto a Castua.
PATRIOTA E MARTIRE
La società “Studi Fiumani” ha provveduto all’operazione di recupero dei resti di Gigante e di altri sei fascisti con lui fucilati, su soffiata della parroco locale croato, dopo la sua identificazione avvenuta nel 1996, i suoi resti il 20 luglio 2018 sono stati recuperati.
Maurizio Gasparri, ai vertici del movimento berlusconiano, per impadronirsi dei contenuti ideologici e appropriarsi dell’evento si è fatto “patrono” dell’iniziativa.
“Ringrazio il generale Vecchiarelli della “Onorcaduti” e tutti i reparti delle forze armate, dei carabinieri che hanno condotto gli accertamenti sul DNA di Gigante. L’operazione ha un alto valore morale, Questo vuol dire onorare i caduti e le memorie della Patria che non possono essere cancellate”.(Gasparri)
Gasparri si è premurato di comunicare che altre iniziative analoghe sono in corso per ricordare quanti furono massacrati in un momento tragico della storia.
A queste nuove operazioni si aggiungono altri 27 sepolti nel cimitero di Cherso.
“I resti di Gigante sono stati tumulati al “Vittoriale” in un Arca, a ciò predisposta, vicino a Gabriele D’Annunzio. Gli sono stati tributati onori da eroe nazionale”.
Ci si chiede perché l’opinione pubblica antifascista non abbia reagito con mobilitazioni di massa e segnalato come sia in atto una restaurazione fascista, irreversibile.
Non si è resa conto che il “revanscismo” sicuro della sua “impunità” riafferma la sua carica criminale, elevando a simboli eroici, criminali di guerra.
Risulta evidente che nell’operazione di recupero siano stati coinvolti ustascià e belogardisti.
Il comunicato non nasconde il suo compiacimento per questa alleanza e segnala come il “Ministero croato dei difensori” e l’Istituto “croato per la storia” hanno fornito il loro apporto nella stesura di uno studio promosso da “Studi Fiumani” e inteso ad individuare i collaborazionisti fiumani: “ Vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni negli anni 1939-1947”.
MANIPOLAZIONE MEDIATICA
Il “Giornale” del 27-8-2020 intitola : “La foiba dei ragazzini: scoperto un nuovo orrore.
L’autore è fiero di annunciare e rendere attuale una nuova pagina sulle “foibe”.
Per aggiungere orrore all’orrore, si proclama il movimento partigiano autore di massacri di adolescenti, nello scenario del Nord-est e dell’Istria.
Il lettore si rende immediatamente conto che la scoperta di queste “foibe” non riguarda Trieste o l’ Istria, ma la Slovenia interna
Le vittime sarebbero un centinaio di giovani “pre-leva” slavi arruolati dai nazisti e uccisi nel corso dell’ultimo scontro con i partigiani comunisti.
A questo punto servirebbe un intervento da parte dell’Unione Europea per verificare i sistemi e il reale lavoro compiuto da questi sedicenti “ricercatori dell’orrore” con la complicità di media spregiudicati che infangano la memoria della Resistenza.
L’Unione degli istriani, associazione sedicente del popolo istriano, ha pubblicato con ampio risalto su facebook, le foto di quest’ultimo orrore partigiano.
Si è guardata bene dal segnalare come quegli slavi nazi-fascisti fossero stati durante il secondo conflitto mondiale gli autori dei massacri di centinaia di migliaia di prigionieri nel campo di sterminio di Jasonevac. ritenuto dagli storici il più esecrabile, nell’Europa occupata dai nazisti.
ONORIFICENZE O APOLOGIA FASCISTA?
Anche la stampa cattolica fa parte del “coro” anticomunista e, forte del suo prestigio, strumentalizza l’argomento “foibe” in modo spregiudicato.
Su “Avvenire” del 6 gennaio 2018 : “ Udine, io a 97 anni ultimo testimone oculare delle stragi delle foibe”.
La testimonianza di Giuseppe Comand consapevole di essere l’ultimo degli uomini che videro risalire “a grappoli” i corpi degli italiani innocenti”.
Dopo un racconto rocambolesco l’anziano testimone racconta come fosse stato “ingaggiato” dai nazi-fascisti nei vigili del fuoco di Pola, guidati dal mitico maresciallo Harzerich.
Il suddetto Comand non è mai stato testimone oculare.
Da sua ammissione risulta che operava nella caserma dei pompieri di Pola, semplicemente come inserviente “addetto alle pulizie.
Nell’articolo il sedicente testimone oculare smentisce clamorosamente la documentazione relativa alle “foibe” prodotta dal maresciallo Harzerich e custodita negli archivi dell’I.R.C.I..
Lucia Bellaspiga, direttrice del “Arena di Pola” organo a cui fanno riferimento i “Comuni in esilio” di Pola, Fiume e Zara è la cronista che strumentalizza i “ricordi confusi” di un sopravvissuto per produrre un documento pseudo-storico .
L’Avvenire il 16 gennaio 2018 riporta come a seguito di quello del 6 gennaio, vale a dire a poco più di una settimana, il presidente delle Repubblica, Mattarella ha conferito l’onorificenza di “Commendatore al merito” della Repubblica a Giuseppe Comand.
Una decisione che il capo dello stato ha preso dopo aver letto su “Avvenire” l’intervista a Comand.
La presa di posizione di Mattarella è semplicemente “inquietante”.
Ci sentiamo di dire che: L’unica risposta è quella contenuta nell’incitamento antifascista durante la guerra civile spagnola: NO PASARAN!!
NORMA COSSETTO
Per arricchire il “marketing” neofascista è stata strumentalizzata la vicenda tragica di Norma Cossetto.
Tramite delibere amministrative le sono state intitolate vie, piazze ed enti culturali.
Il comitato “Una rosa per Norma Cossetto” coordinato da Forza Nuova ha coinvolto “120 città italiane e straniere in questo tipo di operazione.
I promotori ritengono di essere stati i primi a strumentalizzare il “mito” di Norma Cossetto.
Durante la seconda guerra mondiale ad un reparto di Brigata nera femminile fu dato il nome di Norma Cossetto e fu passato in rassegna il 26 gennaio 1945 da Alessandro Pavolini, inviato nell’Adriatischekustenland, da Mussolini (Spazzali)
Norma Cossetto scomparsa il 4 ottobre 1943, e recuperata nella foiba di Surani, nell’Istria centrale, il 10 dicembre 1943.
In un primo momento fu considerata una martire fascista sia per la sua militanza che per la provenienza famigliare.
Il padre, Giuseppe Cossetto, rientrato in Istria nel ottobre 1943, al seguito dell’esercito nazista, fu ucciso in quei giorni.
Giuseppe Cossetto aveva partecipato alla marcia su Roma nel 1922 e per questo era stato nominato segretario politico del fascio, podestà di Visinada e commissario governativo delle Casse Rurali: banche responsabili dell’esproprio della piccola e media proprietà contadina slava.
“Il regime attraverso le sue banche concedeva e immediatamente, negava il credito ai contadini slavi provocando l’aumento vertiginoso delle “aste giudiziarie”.
I contadini gravati da debiti che non potevano in alcun modo far fronte erano costretti a porre al “incanto” terreni, edifici per uso agricolo e domestico, bestiame ed arredamento”. (Pupo)
Tutto questo lo aveva reso il personaggio più inviso in Istria non soltanto presso l’etnia slava, ma anche tra gli altri concorrenti alle aste per il semplice motivo che il Cossetto era diventato il principale beneficiario di questi “espropri contadini”.
Norma Cossetto, in base alle dichiarazioni di una sua amica, Andreina Bresciani non faceva mistero del suo “nazionalismo” spinto “Posso dire che sentiva molto decisamente la sua “italianità” e diceva sempre che in Istria erano gli sloveni e i croati ad essere fuori posto perché gli italiani abitavano quella terra con più diritti”.
Nel suo volume sull’esodo, Flaminio Rocchi, leader assoluto dell’esodo parla, nel 1990, di Norma Cossetto come l’esempio massimo di vittima delle foibe, una vera “martire” dalla causa dell’italianità, perché “Mette in risalto la sua giovinezza e la sua appartenenza al genere femminile e tutto questo non solo sottolinea la sua vulnerabilità a fronte dell’aggressione dei partigiani, ma anche la raffigura come “apolitica” e dunque non compromessa con il fascismo, dato che era giovane e femmina. (Ballinger)
Successivamente il recente documentario sulle “foibe” prodotto da Claudio Schwarzenburg, presidente del “Comune di Fiume in esilio” associazione irredentista, utilizza un cinegiornale italiano del 1943 che mostra il recupero di resti decomposti e conclude come la “Civiltà italiana della penisola istriana cosi brutalmente violata dagli slavi richiama Norma Cossetto che rappresenta l’esempio massimo come vittima delle foibe, per gli italiani dell’Istria”.
Riteniamo che la “pietas” nei confronti di una giovane donna stroncata dagli eventi bellici sia d’obbligo, soprattutto perché vittima di un sistema di terrore nazifascista che travolse migliaia di giovani donne istriane inserite nelle organizzazioni giovanili partigiane e delle quali è stata cancellata la memoria.
Va ricordato che in Istria su 30mila partigiani e 8 mila caduti, 25mila appartennero all’universo femminile.
Le sorelle, le spose e le donne dei “caduti per la libertà”, centinaia delle quali istro-venete, presero parte alla lotta partigiana.
Numerose furono quelle rapite e usate come “giocattoli di sesso” da parte dei “patrioti” della X Mas e liberate alla fine di aprile 1945 dalle loro madri e congiunte più anziane armate di accette e forconi.
Per Forza Nuova la vicenda di Norma Cossetto ricalca il “sacrificio di tantissime donne che ancora oggi sono soggetto di violenza, discriminazione e sopraffazione”!
REGGIO EMILIA
Il senatore Enrico Aimi, coordinatore regionale di Forza Italia dell’Emilia Romagna il 30-11-2020 ha ribadito in un articolo “Il martirio di Norma Cossetto – Bloccata l’intitolazione della via a Reggio. Il consiglio comunale di Reggio ha approvato una mozione che impegna il sindaco a intitolare un luogo oppure una via a Norma Cossetto”
Da decenni la sua storia, nonostante ripetuti tentativi negazionisti il sacrificio di tante donne e patrioti italiani (fascisti)che per amore dell’Itala, non si piegarono alle barbarie (slave)”.
E’ accaduto che la commissione toponomastica del comune di Reggio Emilia abbia bloccato la delibera del consiglio comunale, in attesa di formalizzare la richiesta alla presidenza della Repubblica e di ricevere da quest’ultima, risposta.
Di fronte a questa presa di posizione Aimi deplora la decisione della commissione e accusa i suoi componenti di “prendere tempo” , con la scusa della mancanza di notizie storiche e verificate.
“Ancora una volta dal comune di Reggio Emilia una posizione assurda, piena di livore ideologico”.
Nemmeno Norma Cossetto riesce a cancellare l’odio e il pregiudizio che da sempre anima questa sinistra senza pudore.”
Aimi posta le foto dei tre funzionari del comune di Reggio che hanno intralciato l’operazione neofascista.
Una chiara intimidazione sulla quale bisogna riflettere.
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ATTUALITA’ DELLE FOIBE
Alle fine di agosto 2021 in piena crisi afghana , in preda alla “pandemia”, è scoppiato il tema delle “foibe” nelle sue implicazioni storiche ed ideologiche, in largo anticipo sulla ricorrenza della “Giornata del ricordo” del 10 febbraio,.
Per la prima volta la stampa moderata, Aldo Grasso del il Corriere della Sera, il 28 e il 29 agosto, con articoli di fondo in merito alla rievocazione, si è allineata ed ha superato le tesi estremiste espresse dalla destra italiana revanscista .
Il prof. Tomaso Montanari, rettore dell’università degli stranieri di Siena, aveva sostenuto in un dibattito pubblico l’opportunità di cancellare la “Giornata del ricordo” delle “foibe e dell’esodo”.
In sostanza, il Montanari, se da una parte ammetteva l’esistenza delle “foibe” , dall’altro riteneva che tale evento non meritava di essere “memorizzato” per il semplice motivo che la destra italiana ne aveva fatto uso politico per pareggiare i conti con la “Shoah”.
La maggior parte degli storici italiani aveva intuito la strumentalizzazione politica che ne sarebbe seguita.
Guido Crainz, ricercatore storico di spessore europeo, aveva sostenuto che, se da una parte andavano riconosciute le sofferenze belliche e post-belliche, non andava condotta, nell’interesse di una singola nazione, ma doveva essere realizzato un confronto di “memorie” che comprendesse le sofferenze e i dolori di tutte le vittime italiane, croate e slovene.
“Nella costruzione dell’Europa- e, dopo il 1989, di un Europa molto più grande- non è secondario il confronto fra le differenti memorie di un aerea che ha conosciuto due guerre mondiali e due tormentati dopoguerra.
Il confronto è reso più difficile dal permanere di memorie divise all’interno delle stesse nazioni, e va aggiunto che le ferite del passato sono molto più lente a rimarginarsi di quanto spesso pensiamo”
A partire dagli anni ’80 è stata coinvolta la fondazione Friedrich Ebert (FES) creata nel 1925 in memoria di Friedrich Ebert politico tedesco ritenuto un riferimento democratico europeo.
La fondazione ha promosso nei paesi del centro ed est Europa, democrazia, pluralismo e convivenza. Le sue iniziative di ricerca, divulgazione e dibattiti ha internazionalizzato i problemi relativi ai contenziosi post-bellici.
Ha avviato, tramite il dispiegamento di risorse culturali ingenti, una rielaborazione comune tesa ad integrare le storiografie nazionali e far interagire le memorie divise.
ASSOCIAZIONI REVANSCISTE
Il neofascismo ,ormai “sdoganato” da Berlusconi, negli anni novanta, si pose l’obbiettivo dichiarato di equiparare le “foibe e l’esodo” al ”Olocausto” e di porre le basi, prima ideologiche e poi operative per la riconquista dell’Istria di Fiume e della Dalmazia,
La tumulazione di Riccardo Gigante, come riportato da Krsto Babic, è avvenuto al Vittoriale durante una ceremonia civile religiosa militare organizzata dal direttore dell’archivio storico di Fiume Marino Micich e Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione del Vittoriale, alla presenza di centinaia di persone giunte a Salò per assistere ai funerali officiati dal vicario zonale Mons. Andreis della diocesi di Brescia.
“Tra le numerose autorità civili religiose e militari erano presenti i senatori Maurizio Gasparri e Pierfrancesco Gamba, l’onorevole Roberto Menia , Stefano Bruno Galli, assessore all’Autonomia e alla cultura della Regione Lombardia, i sindaci Roberto Dipiazza di Trieste e Carlo Masci di Pecara…., Roberto del Vecchio comandante del 6* stormo di Ghedi .. oltre a decine di esuli e loro discendenti c’erano i connazionali giunti dalla Croazia!”
Tra i vari discorsi quello di Gasparri che ha ringraziato i vertici militari italiani in particolare il generale Vecciarelli (Capo di stato maggiore della difesa) per aver contribuito all’operazione.
A fianco del sarcofago di Gabriele D’Annunzio sono stati posti i resti di Gigante e collocati quelli di non ben definiti criminali collaborazionisti che avevano operato nell’area di Fiume ed alta Istria durante l’occupazione nazi-fasciste.
E per dare un valore simbolico “irredentista” ed accanto è stata aggiunta una cassetta con la scritta “Sacra terra di Fiume”.
Il Vittoriale è diventato il “Pantheon” fascista pronto a ricevere i resti di altri criminali fascisti che hanno operato durante il secondo conflitto mondiale, nel nord-est.
Il neofascismo, mentre si dichiarava partito conservatore e democratico, nella scelta del “Vittoriale” e Salò, già sede della famigerata “Repubblica Sociale” lo ha reso simbolo di continuità.
Il 26 marzo 2019 il Consiglio della regione Friuli Venezia Giulia aveva bollato come “riduzionista” e “infame” il “Vademecum per il Giorno del ricordo” commissionato dall’Istituto Regionale della Storia della Resistenza “Ferruccio Parri” a Raoul Pupo, sostenitore della “vulgata” di centro destra.
Fu cosi impedita, per la prima volta nella storia della repubblica italiana la diffusione e l’utilizzo di sale e teatri per la rappresentazione del “Vademecum£ opera innocuo confuso.
Un opinione pubblica antifascista decisa avrebbe impedito questa limitazione della “libertà di espressione” con vigore, in modo tale da ottenerne la pronta revoca.
L’Istituto Ferruccio Parri e 445 ricercatori storici hanno inviato il 2 aprile 2019 un documento di protesta al Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Fedriga e al presidente della repubblica italiana.
Il Presidente della repubblica, “garante” di una costituzione antifascista non ha reagito, almeno pubblicamente.
Tutto questo ha aperto al “revisionismo” neofascista praterie imprevedibili, sulla strada della “ri-fascistizzazione” della comunità italiana.
L’ “establishment” ha manifestato la sua completa adesione al nuovo corso fascista, non soltanto legittimandolo, ma, di fatto, di attivandosi al suo interno, come “motore propulsivo”.
Il 12 luglio 2021 il Ministero della pubblica istruzione – Dipartimento della formazione- sotto l’auspicio delle associazioni giuliane, ha organizzato un convegno a Salò ,al Vittoriale, per stabilire le nuove” linee guida” del revanscismo istituzionale.
Il “Ghota” nazionale e regionale e lombardo ha cosi colto l’opportunità di presentarsi come un “blocco” operativo omogeneo.
Da Stefano Bruno Galli, assessore alla cultura lombarda, al console generale d’Italia a Fiume, Davide Bradanini, all’onnipotente presidente della “Federesuli”, Giuseppe de Vergottini e altri notabili è stato imposto un “revisionismo” fruibile per la formazione delle nuove generazioni.
Il 13 luglio Gianni Oliva con “Foibe” o Orietta Moscarda ricercatrice specializzata nello studio del periodo post-bellico, dopo l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia, hanno fornito al convegno una “patina” di ricerca storica, strumentalizzata.
Il 14 luglio Raoul Pupo, già “rinnegato” e poi “riabilitato” dall’esecutivo dalla Regione Friuli Venezia Giulia per il suo “Vademecum”, ha dominato la scena.
La sua narrazione delle “foibe” è stata in linea con il movimento nazionalista.
Giuseppe Parlato ha presentato “D’Annuzio” e “il fascismo” evocati in un clima nostalgico.
!6 luglio Marino Micich Presidente dell’Istituto “Studi Fiumani” finanziato dallo stato italiano e fornito di un bilancio autonomo,, ha conclusio il convegno.
Micich di fronte ai risultati concreti e di immagine ottenuti dalla ricerca e recupero “italo-ustascia” dei “resti” di Gigante, giustiziato dal potere popolare jugoslavo alla fine del conflitto.
Ha manifestato di proseguire con una campagna di “recupero” estesa a tutta l’Istria.
Per tutto il periodo durante il convegno dalle 14 alle ore 17, questi temi sono stati inseriti, tramite docenti selezionati ,nei programmi di formazione stabiliti dal Ministero dell’istruzione-
Un mese prima, il 12 giugno 2021, “la Voce”, quotidiano della minoranza italiana in Istria e a Fiume segnalava come la “Federesuli” promotrice del convegno a Salò , il 12 luglio, avesse assunto la tutela dell’Unione Italiana rappresentante dei “rimasti”, di coloro che avevano preferito continuare a vivere in Istria e in Fiume, nel nuovo sistema sociale jugoslavo.
L’Unione italiana da sempre “acerrima” nemica dei movimenti irredentisti non ha smentito.
De Vergottini presidente della “Federesuli” è stata ricevuto dal Presidente della commissione esteri della Camera, Pietro Fassino, ed ha presentato un elenco di richieste.
La galassia revanscista, come nota la sociologa statunitense Ballinger in “Memorie dell’esilio” nella sua analisi è la proiezione di “personaggi compromessi, autoreferenziati e coinvolti con il regime fascista”.
I notabili attuale per diritto “dinastico” hanno ereditato la carica revanscista.
Da figure anacronistiche e “ras” limitati ad operare nel territorio giuliano, invischiati in scandali legati alla gestione dei fondi concessi dallo stato italiano e dalla regione Friuli Venezia Giulia e gestiti per fini personali, sono diventati centrali ed hanno gestito in chiave irredentista le manifestazioni legate alla “Giornata del ricordo”.
ATTIVISMO REVANSCISTA
Questo gruppo ha organizzato incontri, convegni in Istria usando la “benevolenza” di alcuni esponenti dell’Unione Italiana.
In occasione dell’incontro con Fassino ha preteso che lo stato italiano finanziasse l’identificazione, in Istria dei “luoghi di sepoltura” dei carnefici fascisti perché riteneva “assurdo che ancora oggi non ci siano targhe dove si sono verificate le esecuzioni degli italiani”.
L’identificazione dei luoghi dove erano stati eliminati i gerarchi fascisti renderebbe, nella formazione delle nuove generazioni, ancora più “visibile” il racconto fascista .
Il presidente della commissione esteri della camera, Pietro Fassino, oltre che a contribuire all’ottenimento e al potenziamento dei fondi, già utilizzati dalla Federesuli per potenziare le attività eversive, ha rincarato la dose ribadendo che andavano“Compiuti tutti gli atti che riconoscono i dolori e le sofferenze che gli italiani hanno subito”.
Come riportato dalla “Voce”, ha ribadito che “Bisogna ricostruire la memoria e restituire alla presenza italiana in quelle terre non solo il ricordo ma anche la possibilità di avere agibilità e iniziativa”.
Con la sua dichiarazione ha ribadito la natura eversiva dell’A.N.D.V.G .che nello Statuto approvato nel 2004 stabilisce che la finalità dell’associazione è “Il ritorno delle terre italiane della Venezia Giulia, del Carnaro e della Dalmazia in seno alla Madre Patria”.
DERIVA MODERATA
In termini perentori,l’opinionista Grasso, ritiene che “ Aderire alla richiesta di Montanari di ricostruire le premesse stabilite per l’istituzione della “Giornata del Ricordo” “svilisce la grande tragedia, una pagina dolorosa della storia del nostro paese basandosi su una misera contabilità (quella degli infoibati)”.
Egli cosi ribadisce la tendenza autoritaria e liberticida espressa, agli inizi del 2019, dalla destra al potere nella regione Friuli Venezia Giulia.
Il 26 marzo 2019 il Consiglio della regione Friuli-Venezia Giulia, aveva bollato come “riduzionista e infame il “Vademecum” per il Giorno del ricordo” commissionato dall’Istituto regionale della Storia della Resistenza, a Raoul Pupo.
La regione ha impedito la diffusione e l’utilizzo di sale e teatri per la rappresentazione dell’opera di Pupo.
L’Istituto Ferrucci Parri e 445 ricercatori storici hanno inviato, il 2 aprile 2019 un documento di protesta al presidente della regione Friuli-Venezia Giulia, Fedriga e al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella “garante” di una Costituzione “antifascista” non ha reagito, almeno pubblicamente.
Il prefetto di Siena, Maria Forte, in contrasto con il suo ruolo istituzionale antifascista, ha intimato al Montanari di dimettersi dalla carica di rettore.
Il 31 agosto 2021 Flores d’Arcais, unica voce antifascista, ha segnalato la gravità di questi atteggiamenti:
La richiesta che un rettore venga dimesso d’autorità è un “vulnus” pazzesco agli articoli della Costituzione che garantiscono la libertà della cultura e della scienza e l’autonomia universitaria.
Purtroppo non ho visto nessuna “levata di scudi da parte di intellettuali, pubblici contro l’obbrobrio di tanta richiesta.
Tra un anno e mezzo non sarà più cosi, anche la Costituzione scritta si allineerà .
Comincerà il periodo più buio della vita italiana del dopoguerra, vi sarà una maggioranza parlamentare Salvini-Meloni o Meloni-Salvini, insomma un governo Orban-Le Pen.
“L’anti- antifascismo” crescente di questi ultimi anni (descritto precedentemente ) ne è stato il brodo di coltura, tutti coloro che vi si sono prestati sono colpevoli.
La Costituzione in cui siamo cresciuti sarà calpestata e vilipesa, se fosse stata rispettata, del resto, nessun fascista in questi 76 anni avrebbe potuto aprir bocca e meno che mai partecipare alla vita pubblica”.
OCCULTAMENTI STORICI
Nel rivendicare “l’italianità”, in particolare dell’Istria, questi ricercatori non soltanto non segnalano il regime coloniale imposto dall’Italia “irredentista e fascista” con l’espulsione massiccia degli autoctoni slavi e l’inserimento dei “regnicoli” in modo tale da sconvolgere il tessuto economico e sociale del territorio, ma dimenticano il ruolo criminale del collaborazionismo italiano strategico per l’occupazione nazista dell’Istria.
Come riportato da Ezio Giuricin in “La comunità nazionale italiana” edito dal Centro di ricerche storiche di Rovigno, riferimento culturale della minoranza italiana “Forze fasciste, di carabinieri, questurini, ed ex componenti dei corpi militari, furono coinvolte direttamente nelle operazioni di rappresaglia e rastrellamento”.
Raoul Pupo in “Vademecum” cinicamente ammette: “La memoria delle stragi nazi-fasciste compiute in Istria nell’ottobre 1943 deve rimanere debole perchè assimilata alle “normali violenze della seconda guerra mondiale”.
Non vanno contabilizzate le stragi nazifasciste compiute dal 25 settembre al 9 ottobre 1945: 4.095 morti e 6,850 deportati, fra cui migliaia di istro-veneti.
Vanno dimenticate le vittime e le decine di villaggi rasi al suolo realizzati da 5 reggimenti fascisti dalla M.D.T. (milizia difesa territoriale), da migliaia di appartenenti alla decima mas sistemati in una settantina di presidi e di staccamenti ed, infine, dal contingente militare composto, alla fine di aprile 1945, da 5.200 militari italo-tedeschi che, in attesa di un eventuale attacco dalla penisola italiana, fu utilizzato per rastrellamenti, di grande portata, all’interno dell’Istria. .
GENOCIDIO ISTRO-VENETO
Nei massacri di massa compiuti dai fascisti l’etnia istro-veneto ha pagato duramente. Intere famiglie come i Corva, i Leonardelli, i Lorenzetto, i Gnot, i Boldrini sono state sterminate.
La ferocia fascista non si è fermata neanche di fronte alla soppressione dei “regnicoli” provenienti dalla penisola .
Da “Pola operaia” di Roberto Spazzali, storico triestino: “ Il professor Callegarini, nato nel 1915 a la Spezia, di famiglia veneziana, figlio di un ufficiale di Marina di cui era rimasto orfano. Dopo gli studi al liceo di Pola si laurea e intraprende la carriera di insegnante….. La tradizione risorgimentale e la fede cattolica contraddistinguono la sua esistenza; chiamata alle armi con il grado di sottotenente rientra in città dopo l’armistizio e quì matura la convinzione che l’Istria aveva bisogno di un movimento antifascista democratico e patriottico in grado di rivendicare la sua appartenenza alla futura Italia democratica e in questo senso iniziava a raccogliere la collaborazione di amici, ex commilitoni ed ex scolari.
Intercettato dal servizio nazi-fascista capitanato da Spiridione Ottone Nicolini (decorato con la “croce di guerra germanica di seconda classe con spade” ) viene arrestato, sottoposto a torture per mano dello stesso Nicolini ed eliminato.
Il corpo non viene neppure restituito alla famiglia e tuttora risulta ignoto il luogo di sepoltura, forse gettato in mare”.
De Vergottini potrà utilizzare una delle sue targhe per individuare il luogo dove il 7 aprile 1945 è stato abbattuto il Nicolini.
I tedeschi lo ritennero talmente “vile” che, per la sua morte, non attuarono alcuna rappresaglia.
LE STRAGI DIMENTICATE
Quale credibilità storica e morale può rivendicare chi stabilisce arbitrariamente cosa deve essere ricordato e cosa deve essere dimenticato?
Viene cosi dimenticato l’eccidio di un centinaio di marinai italiani alcuni sottratti agli ospedali che avevano rifiutato di collaborare; da parte dei fascisti, nell’ottobre 1943.
Il “revisionismo” preliminare all’istituzione della “Giornata del ricordo” aveva cancellato il sacrificio di 8.500 italiani della Divisione Garibaldi sacrificati in Montenegro per la dignità e la libertà di un Italia antifascista post-bellica.
La loro colpa era stata quella di aver combattuto con i partigiani jugoslavi contro i nazifascisti.
PRIGIONIERI DI GUERRA
I “patrioti” che hanno recuperato i resti di Gigante hanno certamente dimenticato il suo “curriculum” criminale. Fu responsabile di aver avviato alla prigionia nei lager nazisti di decine di migliaia di ufficiali e soldati italiani, “sbandati” a seguito dell’8 settembre 1943 e pervenuti a Fiume.
L’Italia post-fascista ha deciso di sacrificare per la “ragion di stato” i prigionieri italiani catturati dal governo jugoslavo nel nord-est, nel maggio 1945.
Come descritto da Costantino de Sante “Nei campi di Tito” a seguito della loro cattura era scoppiato un contenzioso italo-jugoslavo, grave.
Il governo italiano e il Vaticano dopo la fine del conflitto, si erano sentiti incaricati a proteggere circa 40mila criminali di guerra , sopratutto ustascia, fuggiti in Italia e di utilizzare la rappresentanza diplomatica di Zagabria nel rilascio di “documenti di espatrio” a soggetti croati compromessi con il regime di Ante Pavelic.
Il governo jugoslavo per “rappresaglia” non aveva proceduto al rilascio dei prigionieri italiani
Dopo due anni decise di farlo, nonostante che il governo italiano si fosse manifestato irremovibile. (Italiano con la coda).
Nel frattempo 15mila dei 17mila prigionieri erano periti per malattie ed denutrizione.
Gli scampati ritornati in Italia erano stati degradati dai “felloni” che avevano consegnato la flotta italiana, nel settembre 1943 a Malta, agli inglesi.
RIMPATRIO E CAMPI PROFUGHI
L’istituzione della “Giornata del ricordo” prevedeva che fossero ricordati: “Foibe” ed “Esodo”.
Per i circoli revanscisti giuliani parlare di “Esodo” è imbarazzante e difficile da sostenere.
Il numero degli esuli provenienti dal territorio giuliano è stato stabilito dall’A.N.D.V.G. in 300/350 mila unità; di questi in Italia ne sono rimasti 147mila (Requiem per il popolo istriano).
Si potrebbe ipotizzare che ca 80mila , residenti a Pola, Fiume e Zara, pervenuti nelle terre giuliane dopo la prima guerra mondiale per colonizzarle sono i “rimpatriati”; 20-25mila ca i dipendenti “autoctoni” assunti prima del secondo conflitto mondiale, da aziende italiane operanti in Istria e a Fiume.
A questo blocco vanno aggiunte le diverse migliaia di istriani da considerarsi “collaborazionisti “ del regime nazi-fascista e decisi a sottrarsi al nuovo regime.
Migliaia di appartenenti alla Decima Mas si infiltrarono nelle partenze da Pola per l’Italia effettuate dal “Toscana” nel gennaio-febbraio 1947 e ingrossarono l’Esodo da Pola; presidiarono inizialmente i campi profughi del nord Italia con l’intento di continuare il loro controllo sulla comunità “esule”.
Furono denominati dall’A.N.P.I. “Banditi giuliani”.
L’establishment post-bellico italiano distinse gli esuli pervenuti dai territori giuliani in:
– una “aristocrazia” da utilizzare per futuri ed eventuali “revanscismi” insediata in strutture come quella del “ Villaggio giuliano dalmata” all’EUR di Roma ed altre collocate prevalentemente nell’area di Gorizia e Trieste;
– gli autoctoni istriani e fiumani che, abbandonando la piccola patria, avevano confidato nell’accoglienza italiana e furono ritenuti non “assimilabili” e dispersi nei “famigerati” campi profughi,
Marino Micich, discendente dei “privilegiati”, l’ideologo che ha gestito il convegno del 12 luglio 2021 a Salò, è costretto ad ammettere che “La condizione di profugo giuliano assistito dalla carità pubblica era un fatto di per sé triste ed umiliante. Il vitto destinato ai profughi giuliano dalmati era ritenuto dai medici insufficiente, perché i due pasti giornalieri messi insieme non superavano mai le 200 calorie.
I profughi in preda a gravi patologie il diabete, l’ipertensione arteriosa e le cardiopatie erano privi della ben che minima assistenza”.
Il caldo e il freddo provocarono problemi di sopravvivenza nelle persone più deboli. I rigori degli inverni sul Carso, alle spalle di Trieste, falcidiarono inesorabilmente i minori e gli anziani.
Come riporta la Ballinger, nota sociologa statunitense “Brucia ancora, nel cuore di molti l’amara ironia degli esuli, che spesso si erano lasciati alle spalle condizioni di vita intollerabili per la promessa di un assistenza nell’entroterra italiano, venivano ridotti a questo stato animalesco, ammucchiati come bestie in ex campi di concentramento e in prigioni”, preliminare per un ulteriore oltraggio: l’emigrazione transoceanica ed infine, la disintegrazione dei nuclei famigliari e l’oblio.
L’ANGOSCIA DI UN ESULE
Miglia , istriano , direttore dell’Arena di Pola, esule (Bozzetti istriani), esprime la sua angoscia nei confronti del dramma della nostra gente che “Verrà dispersa nei vari campi profughi d’Italia senza avere più la forza e la capacità di potersi nuovamente riunire, come ognuno sperava nel momento della partenze.
Quanti finiranno nel soccombere alla disperazione, quanti suicidi, quanti fallimenti, anche in uomini vigorosi e piena di speranza! Quante famiglie distrutte per sempre.
Quante difficoltà per liberarsi dai campi profughi, per risalire , per riacquistare una dignità”. (Nazionalismi ed esodi istriani)
Miglia condanna la presenza italiana in Istria per aver stravolto tutti i suoi valori culturali “l’Italia trattò barbaramente gli slavi della mia terra, non abituata ad amministrare delle minoranze etniche.
Gli italiani a causa di una rozza propaganda politica nella quale ebbero le loro gravissime responsabilità anche gli elementi peggiori del nostro irredentismo credettero di essere venuti in una terra di incivili, di barbari da colonizzare e di ignorarlo che da noi non esistevano analfabeti, ma che il nostro ceto medio, i nostri operai e i contadini sapevano parlare e scrivere non solo in italiano, ma anche in tedesco e nell’interno dell’Istria pure nella lingua croata.
Prima i secoli di Venezia e, nell’800 gli Asburgo aveva lasciato qui un’orma di civiltà assai alta insieme a un costume civico di apertura europea che era filtrato perfino nella vita famigliare nelle città e nelle campagne”.
Nel marzo 1946, a guerra conclusa, spiegò le ragioni per cui il fascismo si era affermato in Istria.
“Era stato alimentato dalla parte più chiusa e nazionalista delle nostre piccole e limitate borghesie paesane che nel fascismo vedevano un esaltazione della nazionalità italiana e, appunto, per la loro scarsa cultura e per i loro piccoli egoismi economici, non si accorsero che in questa esaltazione erano contenuti i germi della frattura che ogni giorno si sarebbe allargata fra le due nazionalità”.
Parliamo di eventi di un secolo fa, ma si ha l’impressione che il neofascismo ricalchi le tracce eversive ritenute, erroneamente cancellate, da un opinione pubblica distratta.
ANTIFASCISMO ISTRO_VENETO
La maggior parte degli istro-veneti diffidò del regime fascista fin dal suo esordio e reagì prima e durante il secondo conflitto mondiale. (Nazionalismi ed esodi istriani).
Lo riconosce apertamente Ljubo Drindic, un esponente istro-croato, quando non soltanto considera fondamentale l’apporto dell’etnia istro-veneta nella lotta antifascista, ma nota come “I nostri italiani erano diversi ed avevano subito dure condanne durante il periodo fascista non soltanto a Pola, Rovigno ed Albona, ma anche nell’interno dell’Istria, a Pisino e a Montona”.
Coloro che intendono “ritornare” in Istria e a Fiume dovrebbero considerare queste vicende storiche.
Le ferite provocate dal fascismo non sono “rimarginate”. Permettere di riaprirle strumentalizzando le “foibe” e ricordando una “pulizia etnica” degli italiani, mai avvenuta e semplicemente, criminale.
Che, da sempre, ha considerato l’impronta latina, veneziana un “valore aggiunto” alla ricchezza culturale istriana.
E va ricordato che nel “proclama di annessione” alla Jugoslavia, del 26 settembre 1943 era stato stabilito dal movimento popolare, a preponderanza slava, spontaneamente e, senza obblighi internazionali, che la minoranza italiana avrebbe goduto, dopo il conflitto, di tutti i diritti nazionali (libertà di lingua, di istruzione, di informazione e di sviluppo culturale; quei diritti che il fascismo aveva negato all’etnia slava.
ITALIANITA’ E SINISTRA ITALIANA
L’antifascismo italiano non ha dimenticato il dramma e il dolore dei “rimasti” e si è preoccupata della cosidetta italianità delle terre cedute alla Jugoslavia.
Come riporta Giuricin nella “Comunità nazionale italiana” “La firma del Memorandum di Londra favorì lo sviluppo di nuovi contatti e relazioni tra le strutture dell’Unione Italiana e la realtà culturale e politica della Madre Patria.
“Una delle prime proposte di collaborazione fu quella avviata nell’ottobre del 1956 dalla Federazione giovanile comunista”.
Una delegazione, composta da esponenti delle organizzazioni giovanili del Partito comunista, di quella socialista del Partito socialista di unità proletaria, dell’Unione sport popolare, dell’Unione donne italiane “, si recò a Pola a Fiume e a Zara.
Questa delegazione politica era composta da un folto gruppo di esperti del mondo scolastico ed universitario che in modo permanente pose le basi per uno sviluppo culturale, solido.
Per determinare la “qualità” di questa offerta culturale basta dire che furono impiegate: la Compagnia Teatrale Veneta di Cesco Baseggio per rivitalizzare le radici istro-venete e il Piccolo Teatro di Milano, all’avanguardia della produzione teatrale italiana ed europea.
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