NAZIONALISMI ED ESODI ISTRIANI

Saggio Storico di Remo Calcich  “Nazionalismi ed Esodi istriani”

PREFAZIONE

Sono al tramonto della vita e non voglio andarmene senza prima aver elevato un inno a Epicuro per la felicità che mi ha dato con il suo insegnamento.

Desidero trasmettere alla posterità questo concetto: le varie divisioni della terra danno a ciascun popolo una diversa patria. Ma il mondo abitato offre a tutti gli uomini, capaci di amicizia, una sola casa comune.

Diogene di Enoanda – II secolo  d.C.

 

EUROPEISMO E NAZIONALISMI

Agli inizi del 1300 la possibilità che l’Europa diventi un entità unita svanisce.

La cristianità fino allora elemento coagulante dell’Europa viene meno, sopratutto, per demerito di una Chiesa, incapace di essere un baluardo perché priva di autorità morale nei confronti del sorgere dei nazionalismi, come sostiene lo storico francese George Livet  “Viene soppiantato dalle nazioni e, in assenza di un autorità preminente sufficientemente forte da tenere a bada le forze disgreganti,  impedisce la nascita di un Europa della nazioni”.

Continua Livet “Alcuni storici hanno fatto di Bouvines l’avvenimento che segnerà il fallimento dell’Europa unita”.

La battaglia si svolse il 26 luglio 1214 nei pressi di Lille tra Filippo II re di Francia e l’imperatore di Germania “La vittoria di re Filippo gettò praticamente le basi della nazione francese” (Paul K. Davis).

Per Leopold Ranke “Sarà lo scontro tra la Francia e la Germania l’ostacolo per una possibile unificazione”.

Jacques Le Goff considera Giorgio di Podiebrad l’autore del primo progetto che prevede la creazione di un’assemblea per un Europa unita.

“Il Re di Boemia dichiara alla metà del 1400 esplicitamente che il fine e il mezzo di questa unione è la rinuncia alla guerra tra gli stati europei.

Prevede, in caso di conflitto tra i membri dell’assemblea l’intervento di una forza comune di arbitrato.

Propone la creazione di imposte e di mezzi finanziari specifici per sovvenire alle spese dell’assemblea”.

Quest’idea viene espresso nel momento della nascita degli stati nazionali e prima che abbiano espresso nei secoli la loro carica distruttiva, in particolare, quelli di Francia, Inghilterra, Spagna, Germania e Italia.

I due conflitti mondiali sono il risultato dei nazionalismi che  impediscono tuttora il realizzo di un progetto unitario europeo.

 

LA CIVILTA’ ITALIANA

A partire dal XII° sec., per oltre seicento anni, fino alla seconda metà dell’ottocento, l’Italia ha affermato il suo primato economico e culturale prima mediterraneo e, successivamente, europeo.

I mercanti delle repubbliche marinare: Amalfi, Pisa, Genova e Venezia insieme alle città toscane e lombarde saranno i protagonisti, come sostiene Braudel, della prima mondializzazione.

Ad Unita’ conseguita il Regno d’Italia e la sua classe dirigente in preda ad un delirio espansionista ritennero di dover ricostituire un impero coloniale e mediterraneo.

L’obbiettivo fu quello di conquistare la Costa Azzurra, Corsica, Tunisia, Malta, Istria, Dalmazia, isole greche, Impero ottomano, e perfino il Canton Ticino e  Grigioni.

I territori che fino al quel momento avevano utilizzato l’italiano come lingua ufficiale o veicolare erano da considerarsi “membri staccati dalla patria ideale, una provincia da redimere” (Romano). 

Se l’”ispanidad” spagnola, la “grandeur” francese, l’”imperialismo” inglese, il “militarismo” tedesco hanno compenetrato i diversi nazionalismi, l’”irredentismo” nei confronti dell’Istria e della Dalmazia sarà il valore ambiguo e destinato a sconvolgere il Nord-est già integrato da secoli, nell’area danubiana.

Questa motivazione imperialista  sconvolgerà il popolo istriano e ne farà una delle principali vittime europee, di questo secolo.

Nel 1918 l’occupazione italiana provocò l’espulsione di un terzo della comunità istriana, preliminare ad una eliminazione totale o all’assimilazione, della componente slava.

Dopo il secondo conflitto mondiale l’intera popolazione istriana sarà sottoposta al rischio di una sua scomparsa definitiva.

 

ESODO DA POLA

L’esodo polese compiuto nell’inverno 1946-47, sotto gli occhi dell’opinione pubblica italiana ed internazionale, ha rappresentato uno “shock” collettivo.

Pola è stata definita “Una città di pietra che parte per mare”.

La città è stata considerata dalla vulgata “irredentista” città italiana dalla notte dei tempi.

Una distorsione storica evidente.

La città fino agli inizi dell’ottocento da borgo insignificante è diventata, a partire dalla meta dell’ottocento, urbanisticamente, etnicamente e culturalmente un inedita comunità mitteleuropea.

Fu il risultato armonioso di una visione sovranazionale che potrebbe costituire la base per una convivenza europea moderna.

A partire dal 1918 da città “irredenta” diventerà sotto la dominazione coloniale italiana marginale e parassitaria.

Il fascismo nel suo delirante nazionalismo espellerà la componente mitteleuropea e slava.

L’imposizione di una monocultura la impoverirà.

L’afflusso degli immigrati italiani “regnicoli” che nel 1931 ammontava a 15mila unità nel 1946-47 costituirà la stragrande maggioranza della comunità polese.

Questi immigrati a cui “ era mancato il tempo di radicarsi nel territorio” saranno rimpatriati (Pupo).

“Le loro organizzazioni su delega del governo italiano pianificheranno l’Esodo e procederanno alla classificazione e al controllo dei profughi.

In pratica ottennero dallo Stato la facoltà di concedere il titolo di profughi, dato esclusivamente a chi è allineato con le posizioni generalmente nazionaliste dell’organizzazione stessa” (Purini).

I figli e i nipoti di questi “sedicenti esuli” si considerano i depositari della memoria dell’Esodo e da “professionisti Esuli”, a tempo pieno, utilizzano questa posizione  per gestire un irredentismo anacronistico.

 

OPZIONE

Dopo la “fiammata” dell’Esodo da Pola il flusso di partenze, dall’Istria, si protrasse inesorabile ed inarrestabile coinvolgendo tutto la comunità autoctona istriana fino agli inizi degli anni sessanta.

Sarà l’applicazione dell’articolo 19 del Trattato di Parigi del 1946 la cosìdetta opzione la scelta di mantenere la cittadinanza italiana, a provocare effetti psicologici devastanti, collettivi e individuali.

Il diritto all’opzione che comportava l’abbandono dell’Istria sarà gestita sul territorio da comitati locali, emanazione del “potere popolare” in un clima di sopraffazione  e di violenza.

In altri termini verrà impedito agli “optanti” istriani di scegliere.

Questo atteggiamento prolungato, demenziale e autolesivo insieme alla propaganda irredentista di “radio venezia-giulia” costringerà a partire.

Fra il 1948 e il 1950 usufruiranno del diritto di opzione 72.820 istriani.

La stragrande maggioranza di questi esuli emigrerà o finirà nei campi profughi di Trieste e dell’Italia meridionale, ad Altamura ed in Campania.

Alcuni riprenderanno la via dell’esilio da Trieste in occasione dell’esodo triestino in Australia e Canada nel 1954-56.

La firma del “Memorandum di Londra” dell’ottobre 1954 con il quale verrà stabilita la sovranità italiana su Trieste e, quella jugoslava nel nord dell’Istria determinerà la partenza di 15.639 esuli dalla zona “B” e 20 mila triestini che rifiuteranno la sovranità italiana a Trieste.

Non si tratterà di un semplice “movimento migratorio in uscita” come definito da Pupo ma di un esodo determinato dal rifiuto di una cultura aliena alla città, quella italiana

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